martedì 22 maggio 2012

Marcello Gallian: un anarchico al servizio del Duce


Figura di spicco della cultura del ventennio nonché ex anarchico, Marcello Gallian rappresenta l'anima più eversiva del fascismo.
Nato da una famiglia aristocratica romana che coltivava idee sovversive (suo nonno venne esiliato a Marsiglia dallo stato pontificio), visse tra l'Italia e la Libia dove il padre era console. Studiò in vari collegi come si voleva per rampolli della nobiltà e venne formato con lo studio dei classici latini, greci e italiana. Di animo ribelle il giovane Gallian si dedicò ben presto a letture più eversive quali quelle dei Poeti Maledetti e delle avanguardie storiche, prediligendo Majakovski, Esenin e Blok.
Nel 1917 a soli diciassette anni aderì alla spedizione di Fiume attirato dalla figura di D'Annunzio di cui ammirava il coraggio e il carisma. Questa esperienza lo introdusse definitivamente nell'ambiente culturale e politico, animato da una intensa lotta politica. Entrò in contatto con i primi ambienti anarchici e avanguardisti che si erano diffusi in tutta Italia e principalmente a Roma, dove conobbe anarchici e personalità carismatiche come quella di Enrico Malatesta. La sconfitta di Fiume però aumentò la sua carica sovversiva e la sua voglia di fuga dal mondo borghese in cui era nato.
Rifiutò quindi la sua origine borghese e preferì a questa una vita da ramingo e da ribelle.Vide nel fascismo la vera forza rivoluzionaria in grado di abbattere il mondo borghese e partecipò alla Marcia su Roma nel 1922.
Nello stesso tempo la sua attività intellettuale fu molto attiva. Collaborò con le principali riviste dell'epoca: da “Novecento” di Bontempelli al “Corriere della sera”. Scrisse famosi romanzi, spesso censurati per i toni troppo violenti ed eversivi, quali “Tempo di pace”, pubblicato nel 1934 con una prefazione di Giuseppe Ungaretti, conosciuto negli ambienti anarchici, e “Il soldato postumo”. In tutte le sue opere e in tutti i suoi racconti mostra il suo lato più turbolento con protagonisti che si allontanano dal loro ambiente borghese e lo combattono partecipando così alla agognata rivoluzione che non ci sarà mai. Gallian vide fallire i suoi ideali durante il trentennio quando ormai l'idea di una rivoluzione era stata cancellata dall'agenda del Duce. La sua delusione non lo abbatte, ma continuò a costruire la sua idea si rivoluzione. Per queste ragioni il regime lo osteggiò sempre fino a censurare gran parte della sua produzione.
Le tendenze borghesi del fascismo lo esasperavano, specie l'alleanza tra il regime e la monarchia, da lui fortemente combattuta. Visse gli ultimi anni del regime in un isolamento umano e intellettuale, rifiutando anche di aderire all'RSI.
Il dopoguerra lo penalizzò ancor di più. Nonostante fosse un anarchico, vicino alle posizioni della sinistra, tuttavia il suo passato di intensa propaganda a favore del fascismo gli impedirono di essere riabilitato. Destino che non toccò ad altri autori come ad esempio Alberto Moravia.
Gli ultimi anni della sua vita furono disperati, costretto da una situazione economica difficile a fare lavori umili e a scrivere freneticamente per case editrici e quotidiani e spesso per conto di altri sotto falso nome. Questo fino alla sua morte sopraggiunta nel 1968. La sua fama e la sua vita furono tenute all'oscuro per molti anni e lo sono tuttora ai più a causa della censura e della damnatio memoriae postbellica. Il suo ricordo sopravvisse nella memoria di pochissimi intellettuali con i quali era venuto in contatto, quali Ungaretti, Giulio e Bragaglia, tutti ex anarchici. Una vita disperata e una coerenza umana e politica fuori dal comune che hanno reso Marcello Gallian, l'anarco – fascista, uno degli uomini più affascinanti della nostra cultura.

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