Chi
era Nicola Bombacci? Pochi lo conoscono e solo negli ambienti del
socialismo nazionale il suo nome riecheggia ancora. La damnatio
memoriae, che lo ha colpito dopo la sua morte, ha avuto in parte
l'effetto sperato: cancellarlo dalla storia.
Bombacci
nacque a Civitella di Romagna, in provincia di Forli, il 24 ottobre
del 1879. Fin da giovane età prese parte alla vita sindacale della
sua regione venendo eletto nel 1911membro del consiglio Generale del
Lavoro (Cgdl).
La
sua grande abilità retorica, così affascinante e magnetica, lo
resero famoso non solo nella sua regione, ma anche a livello
nazionale. Modena fu la città dove emerse, dove strinse amicizia con
Benito Mussolini, giovane socialista emiliano, dove divenne
segretario della Camera del Lavoro e della Federazione Socialista e
dove gli fu affidato la direzione del periodico socialista, il
“Domani”.
Nel
1917, anno della Rivoluzione russa, divenne membro del consiglio di
direzione del Psi. I contrasti con gli altri membri del partito non
si fecero attendere. Bombacci era un convinto massimalista tanto che
nel 1919 insieme a Serrati, Gennari e Salvadori fondò un gruppo
socialista massimalista che al XVI Congresso Nazionale del Partito
Socialista Italiano a Bologna ebbe la maggioranza dei voti divenendo
la guida del partito stesso.
Nei
primi anni del ventennio fece parte della delegazione italiana presso
la III Internazionale e nel 1921 a Livorno fu tra i fondatori del
Partito Comunista d'Italia (Pcd'It.) con Gramsci, Amedeo Bordiga,
Egidio Gennari e Antonio Graziadei, divenendo poi direttore del
quotidiano il “Comunista”. Sempre nello stesso anno venne
rieletto deputato nella circoscrizione di Trieste.
All'interno
del partito Bomabacci si astenne dai contrasti tra la linea
“ordinovista” di Gramsci e quella “astensionista” di Bordiga,
aderendo invece ad un progetto di Francesco Milano che prevede la
costituzione di un grande partito massimalista.
Tale
situazione gli causarono immediatamente l'estromissione dalla
direzione del partito e nel 1923 venne espulso dal Pcd'It. essendo
accusato di aver affermato durante una seduta della Camera dei
Deputati una possibile congiunzione tra la rivoluzione fascista e
quella sovietica.
Le
sue lamentale anche presso il comitato centrale dell'Internazionale a
Mosca non gli valsero il rientro nel partito. Dal 1925 Bombacci
lavorò per l'ambasciata sovietica in Italia continuando la sua
attività politica in proprio.
Con
gli anni trenta iniziò il suo avvicinamento a Mussolini, il suo
amico d'infanzia e di partito. Per una serie di difficoltà
economiche fu costretto a chiedere aiuto al Duce il quale lo aiutò
sovvenzionandolo e affidandogli vari incarichi. Per riconoscenza e
per una grande amicizia Bombacci si convertì alla causa mussoliniana
e venne posto alla direzione del periodico “La Verità”.
Nonostante
la vicinanza al fascismo Bombacci non si iscrisse mai al PNF e, dopo
la caduta di Mussolini, aderì con convinzione all'RSI. Nella nuova
repubblica ebbe maggior campo libero e pote dedicarsi alla
costruzione di un fascismo di stampo socialista e nazionalista. La
sua capacità di parola lo rese celebre ben presto tra le masse
proletarie parlando della degenerazione del bolscevismo e
dell'avvento di un nuovo Mussolini che avrebbe realizzato l'agognato
“Stato proletario”. Nel 1943 partecipò al Congresso di Verona
dove, secondo alcune voci, propose il progetto della
“socializzazione” dei mezzi di produzione e delle imprese che
ebbe molto successo a Salò e all'estero.
I
suoi sforzi per la difesa del fascismo furono vani. Era il 25 aprile
del 1945 quando l'Rsi cadde sotto i colpi dei partigiani e degli
Alleati. I piani di Mussolini fallirono, ma Nicola Bombacci rimase
fino all'ultimo al suo fianco. Il 28 aprile del 1945 venne catturato
dai partigiani e fucilato sulle rive del lago di Como e appeso per i
piedi a Piazzale Loreto a Milano. Si dice che le sue ultime parole
furono un elogio all'Italia e al fascismo: “Viva l'Italia! Viva il
Socialismo”.
Massimo rispetto per Bombacci, ce ne fossero di "compagni" come lui.
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