lunedì 28 maggio 2012

Gli anni dell'edonismo

Erano i mitici anni ottanta, quelli che ancora ci fanno sognare. Un decennio di successo, di abbondanza e dei miti di Hollywood. Nei nostri anni di crisi questo decennio si carica di magia e di elementi mitici come se fosse un età dell'oro. Dietro l'abbondanza e la televisione si venivano a creare le prime contraddizioni del sistema che avrebbero portato alla crisi di inizio millennio. Le eccessive politiche liberali, il fanatismo finanziario e predatorio, queste e altre sono le premesse di un sistema che stava solo preparando la sua ennesima crisi. Ancora oggi è viva l'immagine di quei super manager, i Colletti bianchi, che negli anni ottanta e novanta erano il simbolo del successo e dell'uomo realizzato. Ciò che mi preme evidenziare non sono le cause della crisi attuale, ma gli effetti sulla società che le politiche neoliberiste hanno causato. Stiamo parlando di quel fenomeno che si è soliti definire come "Edonismo reaganiano" intendendo quell'etica del profitto e del successo che negli Usa, e poi nel resto del mondo, divenne la regola per chi voleva avere un ruolo sociale rilevante. Ronald Reagan, repubblicano convinto, accesso oppositore dei democratici e di tutte le frange della sinistra americana e mondiale, fu uno degli animatori del neoliberismo insieme al Premier inglese Margaret Thatcher. Il nemico numero uno del Premier americano era lo stesso Stato o meglio l'apparato burocratico, fatto di aziende e imprese pubbliche, creato durante il New Deal. Da liberista era convinto che i mercati e l'economia in generale erano in grado di regolarsi senza controlli statali o di altri enti sovranazionali. Di conseguenza anche la cosa pubblica doveva essere liberalizzata e favorire la competizione tra privati. La lotta contro lo Stato riguardava il taglio delle spese pubbliche, la limitazione dell'apparato statale nella gestione dell'economia e della vita pubblica e la riduzione delle tasse. La "deregulation" era la chiave di volta per una nuova struttura sociale ed economica che garantiva ricchezza e una vita oltre i limiti. Ancora oggi, fino a qualche anno fa, la destra americana portava avanti questa politica contro un fisco opprimente, a favore della borghesia. Gli effetti sulla società e sull'individuo non si ridussero all'incremento o al decremento della ricchezza personale, ma produssero un nuovo modo di vedere se stessi e la realtà. La nuova parola d'ordine era il successo e il profitto che ne consegue. Il tutto accompagnato da un individualismo e da un relativismo estremo. Un sistema morale che dava valore alla competizione e alla vittoria non poteva che esaltare l'individualità. La vita pubblica era una savana con molti predatori e pericoli costanti. Competere senza regole era l'unico modo per emergere. In economia non esiste morale, tutto è permesso, anche speculare. Ed è quello che è successo, causando danni a lungo andare. L'unica legge era salire sempre più in alto. Si era formata quindi una classe di manager, uomini d'affari e capitalisti che erano riusciti a vincere la sfida. Di conseguenza questi predatori, affaristi e manager costituivano una nuova aristocrazia economica e politica. Questi fino a pochi anni fa erano indicati come i modelli ideali e concreti di uomo nel pieno delle sue capacità. Come non citare il film "Wall Street" di Oliver Stone del 1987? La figura del manager astuto che percorre gli spazi intorno a Wall Street? Ogni sogno ha una fine traumatica, specie quando esso è bello e si scopre come in realtà la realtà sia tutta'altro che rosea. Fino a qualche anno fa l'etica neoliberista era ancora la morale che reggeva il capitalismo occidentale. Adesso la crisi è il sogno che che finisce. Tutti i mali accumulati nel corso del tempo si sono rivelati all'opinione pubblica: indebitamento statale con le grandi banche nazionali ed internazionali, la finanza predatoria e le tasche della popolazione svuotate costantemente per cercare di coprire i buchi nei bilanci statali. Adesso tocca ricominciare, ma sarà dura cancellare una mentalità ancora oggi radicata nel comportamento occidentale.

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