mercoledì 23 maggio 2012

Giuseppe Pinelli: assassinio di Stato o suicidio?

Ancora oggi fa eco il caso di Giuseppe Pinelli, ferroviere anarchico, morto il 15 dicembre 1969 precipitando da una finestra della questura di Milano. Da allora si parla di omicidio di Stato per motivazioni prettamente politiche. Chi era Pinelli?
Nacque nel 1928 a Milano entrando fin da subito nel mondo politico. Animatore del circolo anarchico "Ponte della Ghisolfa", combatté durante la Resistenza nella brigata anarchica "Bruzzi Malatesta". Nel secondo dopoguerra intensificò la sua attività politica prodigandosi nella diffusione dell'anarchismo e nell'appoggiare le lotte sociali e politiche. Ed è proprio nel biennio 1968 - 1969 che Pinelli si distinse come uno dei più infiammati militanti anarchici. Era il 1969, in pieno "Autunno Caldo, quando l'anarchico milanese organizzò e diresse numerosi scioperi e occupazioni operaie. In generale in tutta Italia ci furono ondate di agitazioni operaie che spesso sfociarono in guerriglia e in scontri con le forze dell'ordine. In questo clima così rovente inevitabilmente la lotta sociale si radicalizzò su entrambi i fronti. Evento emblematico del terrorismo politico è l'attentato alla Banca Nazionale dell'Agricoltura a Piazza Fontana (Milano) il 12 dicembra 1969. Tralasciando i fatti e le indagini successive, ci concentriamo sulle accuse mosse a Pinelli di aver partecipato o  organizzato l'azione terroristica. Il milanese fu tra gli 84 sospettati fermati dalla polizia. Per tre giorni Pinelli rimase in cella fino a quando il 15 dicembre venne condotto in questura dove venne interrogato da Antonino Allegra, dal commissario Luigi Calabresi, da quattro altri agenti di polizia e un ufficiale dei carabinieri. Dalla stanza interrogatori non uscì dalla porta, ma dalla finestra. Poco dopo essere entrato precipitò dal quarto piano dell'edificio. Venne soccorso, ma ormai per lui non c'era più niente da fare. Tale episodio fece scandalo, specie tra gli ambienti della sinistra extraparlamentare. Le azioni di vendetta non si fecero attendere: nel 1972 venne ucciso Luigi Calabresi ritenuto uno dei responsabili della morte di Pinelli, anche se le indagini ufficiali asseriscono la sua estraneità dai fatti. Le autorità, rappresentate dal questore Marcello Guida, affermarono che si trattò di un semplice suicidio. Il suo alibi si era rivelato falso per cui, senza via di scampo, si sarebbe gettato dalla finestra. Molti suoi conoscenti e compagni smentirono possibili pulsioni suicide del loro amico. Si riteneva infatti che avrebbe preferito scontare l'ergastolo piuttosto che togliersi la vita. Inoltre ritenevano illegale il suo fermo in quanto dopo tre giorni doveva essere o scagionato o imprigionato. Anche il fatto che il suo suicidio venne indicato come prova della sua colpevolezza venne visto come uno dei moventi che avrebbero spinto gli agenti a defenestrarlo.
La prima inchiesta sulla morte di Giuseppe Pinelli si concluse con un buco nell'acqua. I suoi amici e parenti non si arresero. Il 24 giugno 1971 la vedova Pinelli presentò una nuova denuncia e si riaprì il caso affidato al giudice Gerardo D'Ambrosio. Nell'ottobre del 1975 venne emessa la sentenza: Pinelli era morto per un malore che gli avrebbe fatto fare un balzo verso la finestra dalla quale cadde. Vennero così scagionati i quattro agenti di polizia e l'ufficiale dei carabinieri. Inoltre si accertò che Luigi Calabresi era assente dalla stanza nel momento in cui Pinelli si gettò (nel frattempo ucciso da alcuni esponenti di Lotta Continua). Le voci di dissenso non mancarono. Si sollevarono aspre critiche specie dagli ambienti di sinistra. Si mise in dubbio la testimonianza di Pasquale Valitutti, indicato dall'inchiesta come la fonte che provò l'estraneità di Calabresi dalla morte di Pinelli. L'anarchico, anche lui fermato per le stesse accuse, dichiarò di non aver visto tramite la finestra uscire nessuno dalla porta della stanza dove si trovava Pinelli. Durante le indagini si ritenne che Valitutti nei quindici minuti prima della morte dell'anarchico milanese si fosse distratto non vedendo uscire Calabresi. Tali ipotesi vennero supportate dai movimenti di estrema sinistra come "Lotta Continua", la quale era costantemente l'oggetto di indagine di Calabresi. Gli stessi organi di stampa di Lotta Continua (tra cui l'omonimo giornale) mossero alcune delle principali critiche alla versione ufficiale dei fatti. Prima di tutto ad esempio si mise in luce che i soccorsi furono chiamati prima della caduta. Oppure si scrisse che la caduta era avvenuta in verticale essendo stato buttato da altri invece di essersi lanciato fuori: in quel caso la traiettoria di caduta sarebbe stata curva. Si replicò che la caduta in verticale era dovuta al fatto che gli agenti avevano provato ad afferrarlo smorzando la spinta. Queste e altre furono i dubbi sollevati che produssero un caso politico che durò per anni con altre indagini e riesumazioni del cadavere dell'anarchico.

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