IN
ORIGINE
Nel
1920 Lenin ritenne opportuno che i partiti iscritti al
Comintern sottoscrivessero la
loro approvazione ai
20 punti, base della Terza Internazionale.
In Italia tale richiesta venne accettata dal gruppo di Ordine Nuovo
di Antonio Gramsci il quale si accinse a far sottoscrivere tale
documento alla fazione comunista del Psi. Non ci troviamo ancora di
fronte ad un partito comunista, ma già erano evidenti i primi membri
del futuro Pcd'It.: Amedeo Bordiga,
Antonio Gramsci, Luigi Polano, Bruno Fortichiari,
Antonio Graziadei e
molti altri. Tale movimento venne costituito ufficialmente il
15 ottobre del 1920 a Milano. Contemporaneamente iniziò
a circolare negli ambienti socialisti la “Circolare Marabei –
Graziadei” con la quale si chiedeva il cambio del nome in “Partito
Socialista Comunista d'Italia”. Il gruppo di massimalisti vicino
a Graziadei e
a Merabei si riunì
in un convegno a Imola il 28 e il 19 novembre 1920. Nonostante le
polemiche si stilò una mozione (nota come “Mozione di Imola”) da
presentare al XVII Congresso socialista a Livorno. In questo
documento si chiedeva di aderire ai 20 punti di Lenin e quindi votare
a favore dell'entrata nel Comintern e di costituire il “Partito
Comunista d'Italia”. I mesi che precedettero il
congresso di Livorno furono incandescenti e
si decise alla fine di separarsi dal Psi se il gruppo riformista di
Turati, riunito intorno al quotidiano “Concentrazione”, non
avesse accettato i punti di Imola.
21
GENNAIO 1921: NASCE IL PARTITO COMUNISTA D'ITALIA
Il
21 gennaio 1921 a Livorno si svolsero nel Teatro Goldoni a Livorno le
votazioni per l'approvazione della Mozione di Imola. La fazione
comunista ebbe la maggioranza (57,16%). Bordiga allora
dichiarò il Psi fuori dal Comintern e spinse i suoi compagni a
riunirsi al Teatro San Marco per costituire il Partito Comunista
d'Italia. Si ebbe quindi la cosiddetta “Scissione di Livorno”.
Nel
pomeriggio del 21 gennaio venne decretato lo statuto e delineata la
struttura del partito che seguiva le direttive di Lenin: quelle di un
partito centralizzato e rivoluzionario.
Il primo Comitato Centrale del Pcd'It. contò all'inizio 5 membri e
la sede del partito venne spostata a Milano dove si trovava il
quotidiano “Il Comunista” che dal 11 ottobre
da bisettimanale divenne
quotidiano.
Il
primo segretario del nuovo partito fu Amedeo Bordiga dal
1921 al 1923. La sua guida fu fortemente carismatica e molto
controversa sia nei confronti degli altri partiti, membri
dell'Internazionale, sia nei riguardi di Lenin che diffidava delle
posizioni astensioniste di Bordiga.
La polemica nacque durante il II Congresso del Comintern
a Pietrogrado nel
1920. L'economista italiano riteneva che un futuro partito proletario
e rivoluzionario si
tenesse fuori dal parlamentarismo e
avviasse una politica di contrasto al governo democratico e borghese.
Il suo astensionismo cozzava
con la linea parlamentare di
Gramsci e sostenuta direttamente da
Lenin. Altro contrasto con il PCUS riguardò
l'organizzazione del partito stesso. A differenza del partito
comunista russo il Pcd'It. era si gerarchizzato,
ma all'apice della piramide non vi era una dirigenza intellettuale:
era per lo più composta da ex operai e operai stessi. Inoltre
essendo il partito la guida della futura società, le decisioni
spettavano alla sola dirigenza. Questo in poche parole fu il
“centralismo organico” opposto al “centralismo democratico”
di Lenin. Nel giugno del 1923 Bordiga e
gli altri dirigenti del Pcd'It. furono arrestati e al suo posto venne
posto alla direzione del partito Palmiro Togliatti
e Angelo Tasca (1923 – 1924) e successivamente Antonio
Gramsci (1924 – 1926). Nel 1926 a Lione si organizzò il III
Congresso del Pcd'It. Vi presero parte Bordiga (assolto
e liberato), Togliatti e molti altri dirigenti comunisti. Durante i
lavori la Sinistra Comunista di Bordiga venne
criticata per le loro posizioni internazionaliste e
di conseguenza contro il “Socialismo in un solo Paese” di Stalin.
Per cui al momento delle votazioni la direzione del partito fu
affidata con la maggioranza dei voti ai “centristi” legati a
Mosca. L'adesione di Bordiga al
Pcd'It. fu sempre più marginalizzata fino
a quando venne espulso per aver difeso nel 1930 Leone Trozkij.
Nel 1924 durante le dispute interne al partito venne fondato il
quotidiano “L'Unità”.
LA
CLANDESTINITA' E LA NASCITA DEL PCI
Nel
1926 Bordiga e
Gramsci furono arrestati dal regime fascista e condotti nell'isola di
Ustica. Il partito comunista venne sciolto come il resto dei
movimenti democratici e le dirigenze o furono esiliate o vissero per
anni in clandestinità.
L'arresto di Gramsci fu l'occasione per Togliatti di prendere le
redini del partito. Il comunista sardo rimase in carcere fino al
1935, quando venne trasferito nella clinica “Quisisana” a Roma,
dove morì nel 1937. Estromesso Tasca dalla dirigenza per
essersi contrapposto a
Stalin, il partito divenne definitivamente stalinista.
Togliatti nel 1930 ratificò l'espulsione di Togliatti e della
Sinistra Comunista e accettò con disprezzo l'alleanza con Giustizia
e Liberta, ritenuto un
movimento borghese e complice del fascismo, secondo la teoria
del socialfascismo (socialdemocrazia e
fascismo nascono dal capitalismo e quindi sono entrambe da
combattere). Tutto ciò venne fatto in vista della creazione di un
Fronte Popolare, secondo le direttive del Comintern, per opporsi
all'avanzata del fascismo. Dal 1934 al 1938 Togliatti fu segretario
del partito insieme a Ruggero Grieco e
con lui firmò il “patto d'unità d'azione” tra socialisti e
comunisti. Nel 1939 Togliatti, dopo un periodo di detenzione tedesca,
dalla Francia occupata si trasferì a Mosca dove, solo, diresse le
operazioni del Pcd'It.
La
fuga a Mosca di Palmiro e
la rottura del Patto Molotov – Ribbentrop (1940)
riaccese la lotta antifascista,
questa volta guidata dagli stalinisti italiani. Nel 1941 a Tolosa
venne firmato di nuovo un secondo patto d'unità d'azione. Il
malcontento popolare e una vasta rete di propaganda clandestina
permisero a Togliatti di accendere gli animi contro il regime
fascista anche grazie alle comunicazioni radiofoniche tramite
Radio Mosca.
Nel
1943 l'Internazionale Comunista viene sciolta e Mussolini il 25
luglio è costretto a dimettersi. I gruppi comunisti rimasti in
Italia con il consenso di Togliatti dettero vita al Partito Comunista
Italiano (PCI), partito che seguì fin da subito la
linea parlamentare e,
eliminate le ultime correnti della Sinistra Comunista, si contrappose
in blocco alla nascente Democrazia Cristiana. Nel 1944 a Salerno
Togliatti, su suggerimento di
Stalin, cercò un compromesso tra antifascisti,
monarchici e Badoglio per la formazione di un governo di unità
nazionale. Tale accordo è chiamato “Svolta di Salerno”.
DOPO
LA LIBERAZIONE
Dopo
la Liberazione e l'esperienza della Resistenza il Pci si
diede una veste democratica e riformista. Togliatti si accinse a
consolidare la nascente democrazia italiana, riuscendo nel contempo a
rafforzare nei militanti e nel popolo il mito della Rivoluzione e
dell'URSS. Nel 1947 il Pci entrò
nel Cominform, appena
nato, e sempre nello stesso anno, a maggio, Togliatti partecipò
all'Assemblea Costituente che il 1° gennaio 1948 fece entrare in
vigore la nuoca Costituzione Italiana.
Tutto ciò nonostante il Pci fosse
stato escluso dal governo durante l'amministrazione De Gasperi.
Nel 1947 il Psi sciolse l'alleanza politica ed elettorale con
il Pci perdendo
una parte dell'elettorato. Nonostante circa 30 anni di opposizione il
partito comunista registro un consenso elettorale sempre maggiore
fino alla fine degli anni 70 quando venne stretto il patto di
“solidarietà nazionale”. I tempi difficili non tardarono ad
arrivare. Nel 1956 i rapporti con l'URSS entrarono in crisi in
seguito alla Primavera di Praga, uno dei tanti episodi della
rivoluzione ungherese. Tale evento segnò la messa in discussione del
mito del socialismo reale e del concetto di libertà che in esso
vigeva. Togliatti appoggiò la repressione sovietica segnando la
fuoriuscita di un gran numero di militanti comunisti
specie intellettuali con
il “Manifesto dei 101”. Sempre in questo periodo il Pci imboccò
la “via italiana del socialismo” che consisteva nell'abbandonare
la rivoluzione e nel partecipare attivamente alla
vita istituzionale del
Paese. Il 21 agosto 1964 morì a Jalta Palmiro Togliatti.
Prima di morire il segretario comunista stilò un memoriale, detto
“Memoriale di Jalta”, dove ribadiva l'unicità del Pci nel
costruire la società socialista rispetto al resto del movimento
socialista. La figura di Togliatti aveva donato al partito una certa
unità politica e ideologica. Nell'XI Congresso svoltosi nel 1966
videro lo scontro tra la linea politica dei “Miglioristi” di
Giorgio Amendola (riformisti
e democratici) e quella “Ingraiana” di Pietro Ingrao (vicina
alle posizioni marxiste - leniniste). Amendola riuscì
ad accattivarsi le
simpatie dei delegati comunisti riuscendo a mettere in
minoranza Ingrao che precedentemente godeva
di grande ammirazione. Nel frattempo venne nominato segretario del
partito Luigi Longo nel 1972.
In
realtà le anime più forti del partito erano quelle
di Ingrao e Amendola,
ma Longo, essendo diretto scolaro di Togliatti, riusciva a dare una
maggiore sicurezza di stabilità e di unità
politica. Sostanzialmente continuò
la politica di stampo nazionale del Pci schierandosi nel
1968 contro l'invasione sovietica della Cecoslovacchia.
IL
MITO DI ENRICO BERLINGUER
Nel
1972 divenne segretario Enrico Berlinguer.
Ex presidente della Fgci (Federazione
Giovani Comunisti Italiani) divenne segretario dei comunisti
all'indomani del Golpe di Pinochet in Cile. Tra le prime proposte
politica del neo segretario ci fu un “Compromesso Storico” con la
Democrazia Cristiana. Base di questo patto era una maggiore stabilità
politica nella gestione della cosa pubblica e per aprire al governo
quelle grandi forze democratiche (come
il Pci) che fin
dall'inizio erano state marginalizzate.
Nel proporre tale patto, che avrebbe dato maggior rilievo alle
fazioni di sinistra della Dc,
trovò un buon esito nel gruppo vicino ad Aldo Moro.
I
rapporti con l'URSS si fecero sempre più difficili. Berlinguer,
oltre a difendere la democrazia, propose una nuova politica:
“Eurocomunismo”. I principali partiti comunisti europei
(Francese, Inglese, Spagnolo e per ultimo Inglese) si resero conto
che il socialismo europeo e americano si era allontanato dai principi
leninisti e aveva imboccato una linea democratica e riformista. Ecco
perché nel 1977 a Madrid Berlinguer organizzò
una conferenza tra i comunisti spagnoli, francesi e inglesi, per
decidere come organizzare la “nuova via” del socialismo. I vari
delegati riconobbero alcuni cambiamenti epocali tra i due blocchi
politici e sociali: distensione politica e militare, sviluppo
economico e l'idea di una lotta operaia a carattere riformista e
democratico. Tale progetto durò poco a causa della diserzione del
partito comunista francese che si allineò alle posizioni sovietiche
e del calo elettorale dei comunisti spagnoli. Il contrasto
tra Pci e Pcus si
rafforzò quando nel 1981 Berlinguer dichiarò
che la Rivoluzione d'Ottobre aveva esaurito la sua spinta propulsiva.
A
questo periodo risalgono i dossier e le indagini
su finanziamenti illeciti
che il Pci ebbe
dal l'URSS. Nei rapporti “Impedian”, contenuti del “Dossier
Mitrokhin”, sono raccolti le testimonianze e
le prove di questo traffico di soldi tra gli anni sessanta e
settanta. Secondo il rapporto n. 100 del dossier nel 1971 un agente
italiano del KGB,
Anelito Barontini (nome
in codice “Klaudio”), consegnò fece da tramite per una consegna
illecita di fondi. Questo è solo un esempio dei tanti resoconti su
scambi e legami segreti tra il Pci e
il Pcus.
IL
COMPROMESSO STORICO E IL RAPIMENTO MORO
Gli
anni settanta furono segnati da forti tensioni sociali specie tra
sindacati e padronato. Tale battaglie combattute in strada con
scioperi e occupazioni di stabilimenti,
sfociò inevitabilmente in
una lotta armata. In questo clima politico così infuocato il Pci ne
rimase escluso. Giorgio Amendola fu
il primo a lamentarsi di questa situazione cercando forme di
compromesso con altre forze moderate. Già prima del Compromesso
Storico, il democristiano Ugo
La Malfa nel 1977
dichiarò di voler creare un governo di coalizione con i comunisti.
Tale proposta venne senza esitazione rifiutata dai democristiani e
dai socialisti.
Dopo
lunghi mesi di trattative, Berlinguer trovò
in Aldo Moro, presidente della Dc,
un valido interlocutore per
poter entrare nel governo. Gli incontri tra i due leader ebbero come
scopo quello di individuare delle strategie comuni, cosa
che effettivamente fu
molto proficua. Moro in particolare fu colui che si applicò al
meglio per convincere e dirottare maggior consensi verso il progetto
di Compromesso Storico. Questi era convinto che l'alleanza con
il Pci avrebbe
permesso di superare il periodo di crisi. Berlinguer invece
individuava nel Compromesso Storico una porta per permettere al suo
partito di entrare per la prima volta in un governo, anche se di
coalizione. Il tutto fatto affinché si evitasse una situazione
simile a quella che portò al Golpe cileno. Nel 1978 in occasione del
voto di conferma del governo Andreotti,
i comunisti decisero di votare a favore per creare un governo
monocolore a cui successivamente avrebbe
aderito il Pci.
Andreotti formò
un governo con membri della Dc che
erano reticenti a favorire il piano di Moro. Purtroppo le cose non
andarono secondo i piani. Il 16 marzo 1978 fu rapito dalle Brigate
Rosse. Dopo 55 giorni di prigionia venne ucciso dalle Br e
il suo corpo venne ritrovato il 9 maggio. Berlinguer intuì
che tale azione era premeditata per far saltare il compromesso.
ULTIME
ORE AL TRAMONTO
Durante
il sequestro Moro il Pci fu
tra coloro che sostennero il fronte della fermezza contro ogni
trattativa con i rapitori. La morte di Moro fu un punto critico nelle
trattative tra comunisti e democristiani,
segnando la totale estromissione del Pci dalle
faccende pubbliche. Si può ben dire che da questo momento in poi i
comunisti restarono all'opposizione nonostante nel 1978 fosse stato
eletto come Presidente della Repubblica Sandro Pertini, figura
gradita al Pci e
che ricambiava tale simpatia. Un altro ostacolo dei comunisti fu il
Psi di Bettino Craxi che
in questi anni raccoglieva una grande fetta dei voti di sinistra.
L'isolamento del Pci si
acuì definitivamente con
il famoso “pentapartito” (Dc, Psdi, Pli, Pri e
Psi) che escluse del tutto i comunisti
dalla partecipazione governativa. Berlinguer non
si arrese. Cercò di creare nuove alleanze, specie con le nuove forze
sociali che chiedevano una trasformazione sociale
dell'Italia. Ecco che assistiamo al tentativo di recuperare un legame
con la classe operaia scavalcando i sindacati e sostenendo le
battaglie operaie, soprattutto le vertenze operaie della Fiat nel
1980. Tali campagne non diedero i risultati voluti visto che il
Psi rappresentava ancora
una volta di essere il partito di riferimento della sinistra.
L'11
giugno 1984 Enrico Berlinguer.
La segreteria del partito passò ad Alessandro Natta. Molti videro
con la morte di Berlinguer la
chiave che aprì al declino del partito. Sia le vicende relative
all'URSS sia i contrasti interni al partito mostravano che i tempi
d'oro erano ormai finiti. Nell'aprile del 1986 al XVII Congresso
nazionale del Pci Giorgio Napolitano,
esponente dell'area “migliorista”, propose un
gesto rivoluzionario:
staccarsi dall'area comunista e approdare a quella socialista. Tale
proposta fu criticata e molti dei vecchi militanti e dirigenti di
partito uscirono da esso.
Nel
maggio del 1988 Natta si dimise colto da un ictus. Al suo posto venne
posto il suo vice, Achille Occhetto.
Fu proprio costui che rilanciò l'idea di Napolitano creando
quello che fu il nuovo Pci specie
dopo il XVIII Congresso nazionale. Sempre nello stesso
anno Occhetto creò
quello che venne definito “Governo Ombra” del Pci ispirandosi
allo “Shadow Cabinet” inglese per esplicitare a tutti come
il Pci fosse una
seria alternativa al governo d'allora.
IL DISSOLVIMENTO
Il
1989 è stato l'anno fatidico per le ultime forze
che convenzionalmente erano
definite comuniste. L'URSS era da decenni in crisi e con Gorbaciov si
era aperta una nuova epoca con svolte liberali e volte a smantellare
quel mostro decaduto che è stata l'Unione Sovietica. Il 9 novembre
del 1989 il muro che divideva Berlino in due zone d'influenza
(americana e sovietica) da circa 28 anni venne abbattuto. Tale gesto
segnò una svolta epocale. I partiti comunisti avevano perso
credibilità e i risultati elettorali erano sempre più modesti. In
Italia tale crisi si avvertì in maniera maggiore visto che esso era
uno dei partiti più grandi.
Il
12 novembre Achille Occhetto dichiarò
presso una sezione del Pci a
Bologna, la “Bolognina”, che avrebbe apportato grandi
cambiamenti. In breve la proposta del segretario consisteva nel dare
un nuovo volto al Pci,
nome ormai scomodo dopo la caduta del Muro di Berlino, e di
costituire un nuovo partito della sinistra. Tale evento prese il nome
di “Svolta della Bolognina”. Non tutti accettarono questa
decisione. Ingrao, Aldo
Tortorella e Armando Cossutta si
opposero con forza a tale progetto.
Nonostante
le voci di opposizioni nel marzo del 1990 a Bologna si tenne il XIX
Congresso nazionale. Due furono le mozioni proposte ai delegati. La
prima che consisteva nel creare un nuovo partito democratico e
riformista che venne accettata dalla maggioranza; la seconda ,
sostenuta di Ingrao e
i veterani, prevedeva un cambio nell'organizzazione e nella politica
del partito, ma non rinnegare il passato. Questa mozione venne
respinta. Ci fu poi una terza proposta: costituire un partito dalla
carica ideologica forte e ortodossa. La mozione venne sviluppata dal
gruppo di Cossutta, ma
fu respinta all'unanimità.
Nel
febbraio 1991 si svolse a Rimini il XX Congresso nazionale, l'ultimo
del Pci. I lavori
furono volti sostanzialmente a
dare un nome al nuovo partito. Dopo una serie di dibattiti e di
litigi si scelse il nome del nuovo partito: Partito Democratico della
Sinistra, nome proposto da Occhetto e
D'Alema che ricevette il maggior numero dei voti. Il 3 febbraio del
1991 si ufficializzò la
morte del Pci, rinato
però sotto una serie di vesti. In pratica il Pci si
era dissolto in una serie di movimenti e partiti. I Pds furono
gli eredi maggiori del Pci,
mentre poco tempo dopo si costituì il “Partito
della Rifondazione Comunista”
che raccoglieva i movimenti e gli schieramenti più
ortodossi che rifiutarono di aderire al Pds.
Scrivi che: "Ecco che assistiamo al tentativo di recuperare un legame con la classe operaia scavalcando i sindacati e sostenendo le battaglie operaie, soprattutto le vertenze operaie della Fiat nel 1980. Tali campagne non diedero i risultati voluti visto che il Psi rappresentava ancora una volta di essere il partito di riferimento della sinistra." In base a cosa lo affermi, sai che nel 1983 il PCI prese il 30% dei voti? Il PSI non rappresentava affatto il partito di riferimento della sinistra.
RispondiEliminaIl Psi era il maggiore partito di "sinistra" al governo. Ricordo che nel 1983 si era nel Governo Craxi I. Il Pci era fuori i giochi da molto tempo ostacolato sia dai partiti socialisti sia dalle forze di centro destra.
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