giovedì 31 maggio 2012

Gaetano Bresci vs Tirannia

Era il 29 luglio 1900 quando a Monza l'anarchico Gaetano Bresci assassinò il re d'Italia Umberto I di Savoia. Le reazioni a questo celebre attentato furono di vasta portata e videro da un lato le autorità farsi barriera per arginare altri tentativi di destabilizzazione, dall'altro feste e celebrazioni in onore del regicidio. Il gesto di Bresci ebbe quindi un largo consenso e la ragione di questo gesto che è passato alla storia è tra i più scabrosi episodi del nostro Paese. Qualche anno prima, nel maggio del 1898, a Milano era scoppiata la cosiddetta "Protesta dello stomaco". Tra il 6 e il 9 maggio la popolazione milanese scese per le strade contro l'aumento del prezzo e del pane. I tumulti furono così forti e numerosi che il Presidente del Governo Antonio Di Rudinì fu costretto a dichiarare lo stato d'assedio. A sedare le rivolte di piazza venne inviato il generale Fiorenzo Bava Beccaris. Il generale diede l'ordine di respingere ogni protesta anche al costo di utilizzare i cannoni. Questo avvenne effettivamente e i morti furono molti. Il caso sollevò un clamore pubblico contro tale gesto di violenza, specie tra la prima stampa di sinistra. Nonostante le accuse rivolte contro il militare, Beccaris fu insignito per l'operazione da Umberto I con la Gran Croce dell'Ordine Militare di Savoia. Il re venne accusato di essere un solidale del generale nei fatti di Milano e ciò fu dimostrato con i provvedimenti cautelativi contro altre forme di rivolta. Furono sciolti le sezioni socialiste e i partiti furono messi sotto osservazione. Il gesto di Bresci fu interpretato dalla stampa e dai militanti socialisti come un atto contro la tirannia e il potere che, per salvarsi, uccide. Il mito dell'anarchico è sopravvissuto per tutto il novecento nonostante una dittatura e due guerre mondiali e ancora oggi la sua eco non sembra essersi affievolita.

Destra o sinistra: scelta libera o no?

E' uno studio scientifico la cui data di pubblicazione risale al dicembre 2010, ma è interessante da riproporre per capire se la scelta politica è frutto della libertà di opinione o se esiste un determinismo biologico che spinge l'individuo a scegliere una frazione politica o un'altra.
La ricerca è stata condotta dal neurologo inglese Geraint Rees della University College of London su un campione di novanta studenti e di due parlamentari appartenente ai due schieramenti contrapposti. Quello che è emerso dai test effettuati ha sorpreso Rees. Ha dimostrato, in poche parole, che la grandezza di alcune parti del cervello possono determinare l'opinione politica. In particolare la grandezza dell'Amigdala, la parte del cervello che controlla la paura, è uno dei fattori determinanti. I conservatori o chi si avvicina a tali politiche ha l'Amigdala più grande rispetto a chi ha idee progressiste o liberali. Altro dato riscontrato è la diversa grandezza del Cingolato Anteriore, ossia la parte del cervello che controlla il coraggio e l'ottimismo. Chi è conservatore ha il Cingolato più piccolo rispetto a chi ha idee prettamente progressiste. Rees spiega così perché ad esempio i conservatori recepiscono di più la minaccia di attentati oppure perché i liberali e i progressisti hanno sua visione ottimistica del mondo e della società.
A supportare tale indagine vi è uno studio pubblicato da alcuni ricercatori di Havard e della University of California. Lo studio ha dimostrato l'esistenza di un "gene liberale", ossia una variazione del gene DRD4 che predispone ad avere un atteggiamento più aperto e liberale. I ricercatori americani hanno spiegato che ci si avvicina alle idee liberali o progressiste non solo per la presenza di questo gene, ma anche e soprattutto se durante l'adolescenza si è avuti una intensa vita sociale, aperta a continue esperienze formative.
Questi due studi, qui esposti brevemente, ribalterebbero l'opinione comune secondo cui ognuno sceglie liberamente la propria opinione politica. Adesso si evidenzia come in realtà l'appartenenza ad una fazione politica è il risultato di precisi modi di recepire la realtà. Verità scientifica o passo falso?

mercoledì 30 maggio 2012

Dal socialismo al Made in China

Riprendendo una celebre schematizzazione, si potrebbe in poche righe sintetizzare la storia della Cina contemporanea.

1949: Il socialismo salverà la Cina
1979: il capitalismo salverà la Cina
1989: la Cina salverà il socialismo
2009: La Cina salverà il capitalismo

Il novecento cinese è stato un continuo susseguirsi di fasi di rottura e di relativa calma. Le prime hanno rappresentato sempre dei punti svolta che hanno costituito momenti di crescita per il grande Stato asiatico

Il 1949 è l'anno della rivoluzione nazional - comunista di Mao Zedong (vedi articolo sul maoismo ) dopo che quest'ultimo, dopo una lunga guerra civile a fasi alternate, riuscì a sconfiggere l'esercito del nazionalista Chiang Kai - Shek, istituendo la Repubblica Nazionale Cinese. Il governo di Mao fu segnato da un susseguirsi di fallimenti e di eccidi che causarono milioni di morti per carestia e per le dure repressioni che seguirono la Campagna dei Cento Fiori e la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria. Nonostante l'esaltazione degli occidentali, la "via cinese per il socialismo" era fallita miseramente reggendosi su basi economiche e sociali troppo fragili. Il Grande Salto in Avanti, che avrebbe proiettato la Cina nello sviluppo economico, di fatto fu un programma che si reggeva su forme di collettivizzazione deboli e mal gestite.
Ed ecco che nel 1979, tre anni dopo la morte di Mao, Deng Xiaoping pose le basi per una nuova fase della Cina contemporanea. Accanto all'apertura diplomatica, specie con gli Usa, Deng inaugurò "l'economia socialista di mercato" basata sulle "Quattro modernizzazioni" (agricoltura, scienza e tecnologia, industria e apparato militare) che doveva rappresentare una nuova fase del socialismo "alla cinese". Il progetto prevedeva una serie di riforme economiche per l'aumento della produttività e per attirare capitali dall'estero. Ecco quindi le famose "Zone economiche speciali", aree franche con poche ristrettezze fiscali. La Cina stava diventando il Paese che conosciamo oggi.
Prima che cadesse il Muro di Berlino la Cina era considerata a tutti gli effetti un Paese che aveva scelto il capitalismo. Si stava verificando una rapida crescita economica e la prassi socialista era quasi del tutto scomparsa. Nel 1989 avvenne un passo indietro. Questo anno è ricordato per la strage a Piazza Tiananmen dove gli studenti scesi in strada per protestare contro la soppressione delle libertà furono respinti a colpi di pallottole. Dicevo, con la caduta del Muro di Berlino la Cina "comunista" era l'unico Paese socialista (oltre Cuba) che potesse essere preso come punto di riferimento per ciò che restava del movimento operaio. La caduta dell'Urss traumatizzò la sinistra occidentale che per decenni aveva creduto nel mito della Rivoluzione e della solidità del blocco sovietico. L'imbarazzo per i numeri delle vittime del maoismo furono lo scotto da pagare per porre nella Cina la fede socialista. Nel frattempo i cinesi stavano mangiando velocemente molte tappe nella crescita economica nonostante una serie di crisi interne ed estere avevano rallentato la corsa del gigante asiatico.
Giungiamo agli inizi del nuovo millennio quando ormai è chiaro che la Cina sarà uno dei futuri giganti dell'economia internazionale. Leader industriale e delle esportazioni verso Usa ed Europa la potenza asiatica dimostra di avere molto coraggio nello sfidare il vecchio scacchiere geopolitico e nel mostrare una certa ingerenza nelle faccende politiche dei Paesi terzamondisti. Il 2009 è l'anno della crisi internazionale che ha visto fallire industrie e istituti bancari lasciando sul lastrico intere fasce popolari e mettendo in difficoltà la potenza americana e la maggioranza degli Stati dell'Ue. La Cina sembra essere l'unico Paese in grado di resistere a tale scossone. In realtà, a causa della caduta della domanda di materie prime, le esportazioni sono diminuite e ciò ha rallentato la crescita che nel 2007 ha raggiunto il record del 13% Pil. La tigre asiatica si è confermata la nuova staffetta del capitalismo, rapace e monopolizzante, tanto che lo Stato cinese è il capitalista più ricco al mondo capace con le sole casse statali di ricapitalizzare molte istituti bancari occidentale e di finanziare grandi opere in giro per il mondo. I capitalisti cinesi (che tuttora continuano a maneggiare il Libro Rosso di Mao) sono i pericolosi concorrenti degli omologhi occidentali, incorporando nelle proprie multinazionali numerose ex imprese europee o americane. Avendo comprato il debito pubblico di molti Stati ha anche la possibilità di ricattarli e di minacciare provvedimenti economici per danneggiare chi cerca di alzare la testa. La sua area di influenza continua ad espandersi sostenendo una politica di affiancamento e di supporto dei Paesi africani sottosviluppati, avendo in cambio risorse e supporto logistico. Tutto ciò le concede la libertà di non rispettare gli accordi internazionali specie quelli ambientali. Le limitazioni del Trattato di Kyoto rallenterebbero la crescita del Pil cinese. Ecco perché le industrie cinesi continuano a rilasciare nell'atmosfera veleni e fumi chimici. Il non rispetto delle "leggi salva ambiente" ha un costo ecologico e umano: è una delle nazioni più inquinate del pianeta dove i danni alla salute sono elevati e le vittime sono un numero imprecisato. C'è chi afferma che sarà proprio la Cina a salvare il capitalismo.

Lotta Operaia: sindacalismo rivoluzionario

La lotta operaia era ormai un fuoco difficile da spegnere. Gli scioperi e le occupazioni erano frequenti e le repressioni erano altrettanto dure. Negli anni venti dell'ottocento in Inghilterra nacquero le prime associazioni sindacali (Trade Unions), organizzazioni spontanee di lavoratori che si univano nella comune lotta per condizioni di vita migliore. Questi primi sindacati ebbero vita difficile e, con il passare del tempo, la loro immagine si radicalizzò nella classe operaia tanto che il modello delle Trades Union venne esportato negli altri Paesi industrializzati. Si vennero a creare una miriade di associazioni e di organizzazioni nazionali (Trades Union Congress) e sovranazionali (Federazione Internazionale Sindacale) che si proponevano di coordinare la lotta operaio. Nello stesso momento la Seconda Internazionale nel 1904 riconobbe l'importanza del sindacalismo come strumento di lotta per il miglioramento delle condizioni di vita dell'operaio, ma il loro ruolo sarebbe stato sospeso nel momento in cui sarebbe iniziata la rivoluzione. Questa battaglia sociale da radicale si spostò su terreni democratici e di compromesso con la classe industriale nazionale. La nuova strada intrapresa non piacque a quei soggetti ancora legati ad una concezione radicale del socialismo. Ed ecco che nel mondo sindacale si formò e si separò una corrente che vedeva nella lotta radicale (sciopero generale) la vera arma del proletariato contro la classe dirigente. Nel 1895 un gruppo di sindacalisti legati all'anarchico Fernand Pelloutier decisero di creare movimenti sindacali indipendenti di stampo rivoluzionario. Ed ecco la teorizzazione dell'anarco - sindacalismo o sindacalismo rivoluzionario (alcuni considerano questi due termini non sinonimi, in quanto rappresentanti di due filoni distinti del sindacalismo rivoluzionario). Le basi teoriche erano a metà strada tra l'anarchismo (Bakunin) e il marxismo, in particolare il revisionismo di sinistra (Arturo Labriola). Le analisi marxiste erano le spinte di partenza per avviare una fase "destruens" del capitalismo, ma la fase "costruens" sarebbe stata esclusivamente di stampo anarchico. 
Gli anarcosindacalisti vedevano, al pari dei marxisti e degli anarchici, nella lotta di classe la chiave per abbattere il capitalismo, rappresentato dalla borghesia e dallo Stato, primo agente di oppressione. La rivoluzione sarebbe stato un atto spontaneo di libere associazioni di operai (i sindacati), i quali con uno sciopero generale avrebbero messo in ginocchio il capitalismo statale e lo avrebbero rovesciato. Lo sciopero generale è la breccia che può aprire la crisi del capitalismo, un "tirocinio rivoluzionario" come dice Georges Sorel. Partendo da una base e da una analisi prettamente marxista (fondamentali gli scritti di Arturo Labriola), si innestano elementi spiritualisti e idealisti come emerge in uno dei padri del sindacalismo rivoluzionario: Sorel. La violenza, vista in chiave idealista, diveniva una forza creatrice capace di distruggere il vecchio e di inaugurare il nuovo. La rivoluzione avrebbe costituito una fase di piena attività creativa. Nonostante i punti in contatto con il marxismo, la metodologia rivoluzionaria era opposta. Un partito gerarchizzato e centralizzato non era indispensabile per guidare la rivoluzione e per creare la nuova società. Il proletariato era in grado di organizzarsi da solo e di giungere a forme comunitarie di vita organizzate in una federazione internazionale, senza fasi intermedie (dittatura del proletariato), sulla scia di Bakunin. Il sindacalismo rivoluzione, nato dalla reazione al sindacalismo compromesso, presenta in realtà al suo interno una eterogeneità di pensiero a seconda del Paese in cui si è diffuso. Ad esempio in Italia si giunse a forme nazionaliste di lotta sindacale fino ad un profondo legame con il primo fascismo. Filippo Corridoni, Alceste De Ambris, Edmondo Rossoni sono solo alcuni dei nomi di sindacalisti rivoluzionari che concepirono un sindacalismo di stampo nazionalista e corporativista. Anche in Francia, patria di Sorel, il sindacalismo finì per aderire alle formazioni Azione Nazionale come fece lo stesso Sorel.

martedì 29 maggio 2012

Robert Owen: agli albori del socialismo

Erano gli anni ruggenti della prima rivoluzione industriale con le innovazioni tecnologiche e con un salto qualitativo della vita enorme e senza precedenti. Lo sviluppo economico sembrava irrefrenabile e la società stava vivendo una fase di transizione da un epoca passata, feudale e aristocratica, ad un altra, liberista e borghese. Gli effetti negativi non erano certo inferiori rispetto agli esiti positivi di questo slancio umano. Si profilava una serie di questioni sociali legati all'eccessivo sfruttamento del proletariato che si stava ammassando sempre di più nelle grandi città industrializzate. Questi disagi causarono problemi legati all'igiene e alla sicurezza tanto da sollevare in molti intellettuali e filantropi dell'epoca voci di dissenso. In quegli anni si svilupparono le prime forme di socialismo, utopistico e filantropico, ma che per la prima volta davano una soluzione ottimale ai molti disagi sociali. Queste ipotesi si svilupparono nei Paesi dove maggiormente la rivoluzione aveva intaccato profondamente le coscienze sociali e la stessa società, cioè i Paesi del Nord Europa come l'Inghilterra. Robert Owen fu uno dei primi intellettuali filantropi a darci una soluzione sistematica del problema e a tentare nel concreto di cambiare le cose. Di origini inglesi, Owen fu un noto imprenditore e, lavorando nel campo industriale, si rese subito conto dei disagi da risolvere. Influenzato da un certo determinismo sociale, Owen era convinto che l'individuo era frutto dell'ambiente in cui viveva per cui, cambiando condizioni di vita, molte questioni sociali potevano essere facilmente risolte. La sua politica sociale all'interno dei suoi cotonifici fu quella di migliorare sensibilmente le condizioni di vita degli operai sia aumentando i salari sia ridimensionando l'ambiente lavorativo e sociale, costruendo comunità per operai con scuole ed altri edifici socialmente utili. Inoltre stimò di poter stabilire ai suoi operai un eccellente servizio sanitario per poter migliore le condizioni di vita anche delle loro famiglia. Anche in campo educativo Owen si prestò a ideare un nuovo modello sociale e culturale: ad esempio abolendo il matrimonio e stabilendo che i figli delle coppie fossero allevate in comunità infantili gestite dalla comunità. Nel contempo però riuscì a stabilire un equazione, lavoro = valore, che sarà poi ripresa da Marx e che sarà uno dei principi fondamentali dell'economia.
Il primo tentativo di realizzare una comunità del genere avvenne nel 1826 a New Harmony negli Stati Uniti. Questa nuova organizzazione sociale e culturale non ebbe vita lunga: fallì miseramente. Ritentò anche in Inghilterra, ma non riuscì lo stesso nei suoi intendi. Affiancò questo lavoro filantropo con la costituzione delle prime organizzazioni sindacali e lui stesso, lasciato il suo ruolo di imprenditorie, si dedicò alle prima battaglie delle Trade Unions. Probabilmente una delle poche mosse riuscite di Owen fu quella di dare grande importanza al sindacalismo come spinta fondamentale al cambiamento sociale e politico della classe operaia. Le ragioni del suo fallimento sono molte dall'azzardata organizzazione sociale e culturale al fatto che, come riteneva Marx, non si possono realizzare forme comunitarie quando sono ancora vigenti i rapporti tipici del capitalismo; soprattutto è impossibile creare tale comunità in una società dove il principio del profitto è ancora norma etica e dove lo Stato sostiene il capitalismo. Secondo Marx, il padre del cosiddetto "socialismo scientifico", solo con un atto di forza, con una rivoluzione, era possibile realizzare forme di collettivizzazione nullificando il capitalismo. Una utopia che però ebbe il merito di spingere altri ad una ricerca scientifica che aveva come obbiettivo di avvicinare il più possibile l'utopia alla realtà.

Il rinnegato Berto Ricci

E' un rinnegato, un uomo che ha rinunciato alla sua origine e al benessere che ne deriva per seguire i suoi ideali e combattere per essi. E' una delle tante figure che hanno contraddistinto in positivo il fascismo italiano e che, ancora oggi, viene ricordato per la tenacia che dimostrò ogni momento della sua vita nella difesa dei propositi. Appartiene al quel grande gruppo di socialisti massimalisti e di anarchici che videro nel nascente movimento fascista l'unica forza rivoluzionaria in grado di cambiare il mondo conosciuto. Sto parlando del fiorentino Berto Ricci, noto matematico, ex anarchico avvicinatosi poi al fascismo e a Mussolini. Oggi lo si ricorda soprattutto per la sua fedeltà ai suoi ideali politici e per il suo sacrificio nel difenderli. Partito da posizioni anarchiche ben presto si avvicinò al nascente fascismo vedendo in esso l'occasione per l'Italia di riscattarsi sia politicamente che economicamente. Tali posizioni, che lo ponevano in netto contrasto con gli sviluppi successivi del fascismo, furono chiariti sulla rivista che fondò nel 1931, "L'Universale", (pubblicato fino al 25 agosto 1935) alla cui stesura collaborarono le voci note del panorama culturale dell'epoca: Indro Montanelli, Giuseppe Bottai ecc.
Come dice lui stesso il giornale doveva “raccogliere attorno a sé quei giovani intellettuali fascisti che volevano andare oltre il capitalismo, il nazionalismo e le degenerazioni storiche del cristianesimo, e che credevano in una cultura fascista universale, che non dimenticasse le proprie tradizioni e rispondesse alle vere esigenze del fascista perfetto, puro eroe senza classe, insofferente ad ogni disciplina, irruento, intelligente e testardo apostolo dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni"
Al pari di Gallian Ricci era insoddisfatto e avulso dal lusso dei salotti romani convinto sostenitore di uno stile di vita spartano e consono al decoro fascista. La sua tenacia intellettuale era seguita dall'azione, perché al pensiero deve seguire l'azione, senza la quale l'idea sarebbe sterile e astratta. Fu una delle anime ribelli del fascismo: anticlericale, anticapitalista e in generale anticonformista poco propenso ad accettare la morale borghese e le decisioni del regime. La sua lotta era finalizzata alla salvezza e alla purificazione dell'Italia per restituirle quel primato politico e culturale che da tempo immemorabile aveva perso. La sua Rivoluzione Radicale partiva da basi ideologiche molto forti che si rifacevano al concetto di eroismo di Nietzsche fino ad arrivare al pensiero sovversivo di Sorel, per attingere anche dalla tradizione pagana romana e dal cristianesimo più spartano e guerriero. Il suo spirito indomabile lo portò a partecipare agli eventi principali della sua epoca e a prender parte a guerre in nome della Patria e del Fascismo. Ecco perché partì nel 1935 volontario in Etiopia e l'esperienza bellica lo segnò a tal punto che in decise si arruolò come volontario di nuovo durante la seconda guerra mondiale, non facendo più ritorno in Patria (morì in Libia il 2 febbraio 1941). 

E se l'Italia fosse una repubblica presidenziale? (di Paolo R.)

La storia della nostra repubblica fin dalla sua origine ci ha insegnato che l’eccessiva divisione di potere ha portato sempre alla debolezza eccessiva dello Stato che ha impiegato più di 30 anni per debellare il fenomeno del terrorismo e ancora oggi non è riuscito a frenare quello delle mafie. Questo è stato possibile perché in Italia molti incarichi si accavallano e perché il parlamento ha troppo potere ed è sempre molto frammentato. Spesso non si raggiungono buone maggioranze per fare riforme coraggiose e definitive oppure accade che appena cade un governo il nuovo modifica le leggi precedenti per ottenere più consensi!
Ora una repubblica presidenziale è una forma di governo in cui il potere esecutivo si concentra nella figura del Presidente che è sia il capo dello Stato sia il capo del governo: generalmente è eletto direttamente dai cittadini e forma il suo governo; essendo capo di stato non ha bisogno di voto di fiducia parlamentare anche perché, avendo già ottenuto il voto della maggioranza dei cittadini, non ha bisogno della fiducia dei loro rappresentanti. La legittimazione attraverso il voto conferisce al presidente una chiara superiorità rispetto ai suoi ministri, non sempre rimarcato nei sistemi parlamentari.
In Francia e negli USA c’è questo sistema e sembra funzionare bene ma in generale l'Italia rispetto a questi due Paesi dimostra di avere una mentalità purtroppo molto diversa, a partire dai nostri politici che sono criticati e beffeggiati in tutto il mondo e non solo. Sono i primi ladri che rovinano un paese che sembra non essere basato sul lavoro come dice la costituzione ma sulla corruzione e la mafia. Ora se questo sistema prendesse piede anche in Italia come si comporterebbero i nostri concittadini: voterebbero come presidente uno come Berlusconi, Vendola, Bersani? Oppure può esistere una classe politica buona e forte allo stesso tempo che può prendere in mano la situazione con coraggio e determinazione? Secondo me in Italia né esistono purtroppo pochissimi e purtroppo vengono zittiti dai più così da poter fare i loro porci comodi. Quindi se l'Italia non diventasse una repubblica presidenziale le cose potrebbero peggiorare fino a sfociare in una dittatura dove i nostri politici potranno fare quello che vorranno alla luce del sole. In teoria una repubblica presidenziale è molto più democratica ovvero è una vera democrazia rispetto alla parlamentare dato che si sceglie direttamente chi ti governa ma, trovandoci in Italia, la cosa non potrebbe funzionare a meno che quei pochi politici onesti non si facciano avanti e non facciano sentire la propria voce! 

lunedì 28 maggio 2012

Non vi accettiamo!

Negli anni 50 il pianeta si divideva in due zone di influenza: il Primo mondo che racchiudeva i Paesi industrializzati, con un sistema capital - liberale, capitanato dagli Stati Uniti; il Secondo mondo ruotante intorno all'Urss con un sistema economico e sociale omologo del capitalismo di Stato sovietico. Vi era poi un gruppo di Paesi sottosviluppati usciti dal colonialismo o ancora sotto la dominazione europea che si era soliti definire "Terzo mondo". Un raggruppamento estromesso dalle grandi competizioni che soffriva per il sottosviluppo e la rapacità con la quale i Paesi sviluppati depredavano le loro risorse. Ancora oggi circola lo stereotipo di queste nazioni deboli e incapaci di prendere decisioni serie. In quegli anni stavano nascendo movimenti nazionalisti che rivendicavano la sovranità su quelle terre o si erano verificati sconvolgimenti sociali e politici (come la rivoluzione cinese del 1949) che avevano messo in discussione la sovranità dei Paesi imperialisti e lo stereotipo sopra citato. Ormai il Terzo mondo stava diventando un blocco compatto di Stati decisi a lottare contro l'ingerenza straniera. Il 1955 sancisce la rinascita del Terzo mondo come blocco di Paesi decisi a sfidare i rivali del Primo e Secondo mondo. A Bandung, una cittadina dell'Indonesia, si tenne fra il 18 e il 24 aprile un convegno di delegati di nazioni afroamericane. Mandarono i loro rappresentanti l'India, Pakistan, Birmania, Ceylon, l'Indonesia, la Cina socialista e molti altri Paesi africani compresa la Jugoslavia di Tito. I protagonisti dell'incontro, Nasser, Hehru, Tito e Zhou Enlai misero in tavola gli argomenti principali da trattare: il rifiuto di ogni forma di colonialismo e di ingerenza e la dichiarazione di non allineamento con le posizioni politiche di URSS e Usa. Il Terzo mondo venne rivalutato in una chiave nuova e positiva, come una forza capace, se unita, di mettere in crisi gli altri due blocchi e poter finalmente riprendersi quello che da sempre era loro diritto: risorse e sovranità nazionale. La Cina di Enlai si pose nei confronti di questi Paesi come il loro protettore, come la nazione protettrice di quelle più debole pur richiamandosi a principi di neutralità (ancora oggi la Cina di Hu Jintao si pone come il continuatore di questa linea politica favorendo lo sviluppo economico di ampie zone dell'Africa). In questo modo la Cina sanciva definitivamente la fuoriuscita dal Comintern e l'originalità del socialismo cinese che Mao da anni difendeva. Tutti i membri del convegno accettarono le proposte di Nasser, Nehru e degli altri leader, sottoscrivendo la "Dichiarazione per la promozione della pace nel mondo e per la cooperazione", documento che sanciva l'alleanza attiva tra questi nascenti Stati nazionali.
Tali idee non potevano che avere un effetto domino. Molti Paesi africani e asiatici si avvicinarono a tale movimento e iniziarono a rivendicare una certa autonomia nei confronti degli ex dominatori. Nel 1961 Tito, Nehru e Nasser diedero di conseguenza vita all'organizzazione "Non Allineamento" a Belgrado. Ad aderire a tale movimento vi erano circa 25 Paesi compresa Cuba di Castro e l'Algeria, resasi da poco indipendente dalla Francia. La Cina ancora una volta si impose come l'esempio del Paese emancipato visto che poco tempo prima era riuscita a staccarsi dall'orbita sovietica e a imporsi come una delle nazioni in via di sviluppo sia economico che militare. Il movimento finì per contare fra i suoi membri 75 Paesi tutti convinti assertori di una politica contro l'imperialismo occidentale. Purtroppo i primi disequilibri non tardarono a mostrarsi. Guerre e contrasti tra i membri del Non Allineamento minarono i rapporti di solidarietà. I conflitti sono solo una parte delle cause che portò allo scioglimento dell'organizzazione. Ormai la maggioranza degli Stati africani si era emancipata e si conseguenza la spinta anticoloniale era scemata. Inoltre con la caduta del blocco sovietico i rapporti politici ed economici erano cambiati: molti Paesi non allineati finirono per entrare nell'orbita americana o ne approfittarono per rendersi del tutto autonomi da condizionamenti, come l'India. Altri Stati invece avevano mutato assetto politico, come la Iugoslavia. Molte nazioni sottosviluppate stavano emergendo economicamente mentre altre restavano in una situazione di povertà e miseria per cui equi rapporti politici ed economici erano effimeri e poco credibili. L'esperienza dei Non Allineati ha segnato la fine dell'imperialismo europeo e la prima dimostrazione dell'orgoglio nazionalista dei Paesi del Terzo mondo, la prima forma di rivincita degli sfruttati sugli sfruttatori: capovolgimento che all'epoca era vista come l'unica opportunità per annientare il rapace liberal - capitalismo.

Gli anni dell'edonismo

Erano i mitici anni ottanta, quelli che ancora ci fanno sognare. Un decennio di successo, di abbondanza e dei miti di Hollywood. Nei nostri anni di crisi questo decennio si carica di magia e di elementi mitici come se fosse un età dell'oro. Dietro l'abbondanza e la televisione si venivano a creare le prime contraddizioni del sistema che avrebbero portato alla crisi di inizio millennio. Le eccessive politiche liberali, il fanatismo finanziario e predatorio, queste e altre sono le premesse di un sistema che stava solo preparando la sua ennesima crisi. Ancora oggi è viva l'immagine di quei super manager, i Colletti bianchi, che negli anni ottanta e novanta erano il simbolo del successo e dell'uomo realizzato. Ciò che mi preme evidenziare non sono le cause della crisi attuale, ma gli effetti sulla società che le politiche neoliberiste hanno causato. Stiamo parlando di quel fenomeno che si è soliti definire come "Edonismo reaganiano" intendendo quell'etica del profitto e del successo che negli Usa, e poi nel resto del mondo, divenne la regola per chi voleva avere un ruolo sociale rilevante. Ronald Reagan, repubblicano convinto, accesso oppositore dei democratici e di tutte le frange della sinistra americana e mondiale, fu uno degli animatori del neoliberismo insieme al Premier inglese Margaret Thatcher. Il nemico numero uno del Premier americano era lo stesso Stato o meglio l'apparato burocratico, fatto di aziende e imprese pubbliche, creato durante il New Deal. Da liberista era convinto che i mercati e l'economia in generale erano in grado di regolarsi senza controlli statali o di altri enti sovranazionali. Di conseguenza anche la cosa pubblica doveva essere liberalizzata e favorire la competizione tra privati. La lotta contro lo Stato riguardava il taglio delle spese pubbliche, la limitazione dell'apparato statale nella gestione dell'economia e della vita pubblica e la riduzione delle tasse. La "deregulation" era la chiave di volta per una nuova struttura sociale ed economica che garantiva ricchezza e una vita oltre i limiti. Ancora oggi, fino a qualche anno fa, la destra americana portava avanti questa politica contro un fisco opprimente, a favore della borghesia. Gli effetti sulla società e sull'individuo non si ridussero all'incremento o al decremento della ricchezza personale, ma produssero un nuovo modo di vedere se stessi e la realtà. La nuova parola d'ordine era il successo e il profitto che ne consegue. Il tutto accompagnato da un individualismo e da un relativismo estremo. Un sistema morale che dava valore alla competizione e alla vittoria non poteva che esaltare l'individualità. La vita pubblica era una savana con molti predatori e pericoli costanti. Competere senza regole era l'unico modo per emergere. In economia non esiste morale, tutto è permesso, anche speculare. Ed è quello che è successo, causando danni a lungo andare. L'unica legge era salire sempre più in alto. Si era formata quindi una classe di manager, uomini d'affari e capitalisti che erano riusciti a vincere la sfida. Di conseguenza questi predatori, affaristi e manager costituivano una nuova aristocrazia economica e politica. Questi fino a pochi anni fa erano indicati come i modelli ideali e concreti di uomo nel pieno delle sue capacità. Come non citare il film "Wall Street" di Oliver Stone del 1987? La figura del manager astuto che percorre gli spazi intorno a Wall Street? Ogni sogno ha una fine traumatica, specie quando esso è bello e si scopre come in realtà la realtà sia tutta'altro che rosea. Fino a qualche anno fa l'etica neoliberista era ancora la morale che reggeva il capitalismo occidentale. Adesso la crisi è il sogno che che finisce. Tutti i mali accumulati nel corso del tempo si sono rivelati all'opinione pubblica: indebitamento statale con le grandi banche nazionali ed internazionali, la finanza predatoria e le tasche della popolazione svuotate costantemente per cercare di coprire i buchi nei bilanci statali. Adesso tocca ricominciare, ma sarà dura cancellare una mentalità ancora oggi radicata nel comportamento occidentale.

Il Grande Timoniere: appunti di maoismo

Era il 1968 quando Moravia venne contestato dai giovani "rivoluzionari" durante una sua conferenza all'università La Sapienza dopo il suo viaggio in Cina. Al grido di "Mao si, Moravia no" i sessantottini dimostrarono il forte interesse per il maoismo e per le garanzie di libertà che Mao aveva promesso non solo in Cina, ma anche nei Paesi sottosviluppati e in Occidente.
"Maoismo" è un'etichetta che sta a riassumere le istanze del lavoro teorico e pratico del rivoluzionario cinese Mao Tse Tung fondate su una revisione del marxismo per adattarlo alle condizioni sociali e politiche della Cina di quasi ottanta anni fa. Sostanzialmente oltre all'adozione del nazionalismo come spinta rivoluzionaria e come cemento sociale, Mao, analizzando la situazione sociale cinese, evidenziò come il proletariato, essendo molto esiguo, non avrebbe mai potuto essere l'agente della rivoluzione: al contrario la classe contadina, maggiormente numerosa, avrebbe assunto il ruolo rivoluzionario del proletariato urbano. Ecco perché tra i punti essenziali del suo programma vi erano collettivizzazioni delle terre a danno dei grandi latifondisti. Lavori per creare comunità contadine dove la gestione delle terre era collettivizzata e il frutto del lavoro era ridistribuito in maniera equa tra i lavoratori.
Mao elaborò un piano di lotta che tenesse conto del territorio cinese e degli agenti rivoluzionari, dando di conseguenza molta importanza alla guerriglia. La guerra si sarebbe svolta secondo tre fasi: la prima sarebbe consistita nella mobilitazione dei contadini e nella creazione di soviet rurali; la seconda avrebbe previsto la costituzioni di bande di guerriglieri e in seguito la formazione di un esercito; l'ultima fase avrebbe previsto, dopo le prime fasi di guerriglia, il passaggio ad un conflitto diretto. In un primo momento le pianificazioni belliche di Mao fallirono costringendo ad una lunga ritirata (La Grande Marcia, 1939) e in secondo momento, con il supporto del Comintern, Mao sconfisse i nazionalisti di Chaing Kai - Shek nel 1949. I cardini che oggi possono essere presi come punti fermi dell'operato maoista sono la "Grande Rivoluzione Culturale Proletaria", che avrebbe dovuto riformare intellettualmente e socialmente la Cina socialista, e il "Grande balzo in avanti", che avrebbe dovuto assicurare un rapido sviluppo economico. La vittoria del socialismo non garantiva la sua solidità ne il fatto che il capitalismo potesse riproporsi al suo interno. Alcuni atteggiamenti e schemi mentali tipici della borghesia potevano vegetare e al momento giusto rinascere e causare la corruzione del socialismo, come in URSS. In concomitanza con l'estromissione di Mao dalla gestione del potere, il Grande Timoniere (attributo dato a Zedong) lanciò accuse contro la già presente corruzione all'interno del partito comunista cinese. Ecco perché dal 1966 fino alla sua morte ci fu quella che in occidente venne esaltata come Grande Rivoluzione Culturale Proletaria. Elementi fondamentali della nuova cultura erano le avanguardie intellettuali e giovanili pronte a riformare la società per scovare le annientare i burocrati controrivoluzionari. I giovani mobilitati dovevano essere inquadrate nelle cosiddette "Guardie Rosse" e messe in campo per eliminare ogni istanza borghese dalla società socialista sia tra la popolazione sia all'interno del partito. Il tutto attraverso anche una grande opera di propaganda mossa a partire dal Libro Rosso, scritto dallo stesso Mao nel 1966, dove si elencavano i rudimenti di marxismo e di maoismo: elemento sempre presente nell'armamentario delle Guardie Rosse. La dura repressione degli elementi poco inclini alla politica maoista furono molti e le repressioni si susseguirono in un arco di tempo che va dal 1966 al 1969. Si calcola che nei campi di rieducazione (Laogai) finirono circa 7 milioni di persone.
Tra il 1958 e il 1960 venne lanciato "Il grande balzo in avanti", un piano economico che avrebbe dovuto sviluppare la Cina basando il tutto sulla collettivizzazione dell'agricoltura e dell'industria. Mao predispose la creazione di grandi comunità popolari rurali dove le terre erano in comune e il denaro abolito sostituito da "punti lavoro" che avrebbero costituito il metro di prodotto che un contadino avrebbe ricevuto a seconda del proprio lavoro. Legato alla creazione di comunità agricoli ci fu la creazione di un vasto apparato idrico per l'irrigazione dei campi fatto di un gran numero di laghi artificiali e canali. Queste comunità si diffusero in tutta la Cina rurale e ben presto si ampliarono con la costruzione di piccole industrie e di altri edifici per il bene collettivo (scuole, ospedali ecc.). Come per l'agricoltura anche l'industria venne collettivizzata. Vennero create piccole comunità dove si edificarono fornaci comuni dove venne predisposto la produzione di acciaio. Dopo una elevata crescita nel 1958 (l'industria metallurgica aumentò la propria produzione del 45%) negli anni successivi tali traguardi non si superano. La recessione economica seguita allo sviluppo fu, per alcuni, la causa principale della carestia che colpì la Cina tra il 1959 e il 1962 che uccise circa 43 milioni di cinesi.

domenica 27 maggio 2012

Roberto Farinacci: l'alterego del Duce

E' stata una delle figure più discusse nei ranghi del partito fascista. Lo definirono il "Ras di Cremona", avendo il controllo totale della città, oppure il fascista ribelle o non allineato con il regime, tanto da farsi affibbiare l'etichetta di "fascista rosso". Stiamo parlando di Roberto Farinacci, politico di fede fascista, ex socialista e soprattutto ex segretario del Partito nazionale fascista. Nacque nella mia terra, il Molise, più precisamente a Isernia il 16 ottobre 1892. Suo padre era un commissario di pubblica sicurezza sempre in movimento per cui il giovane Farinacci lo seguì nei suoi spostamenti fino a quando si stabilirono definitivamente a Cremona, la città dove rimase fino alla fine dei suoi giorni. Fin da giovanissimo si avvicinò alla politica prima nel partito socialista poi, dopo aver conosciuto Benito Mussolini e collaborato con il Popolo d'Italia, si iscrisse ai nascenti Fasci di Combattimento, reduce dalla prima guerra mondiale e animato da una grande fede umana e politica nel futuro Duce. Partecipò con dedizione alle prime azioni offensive del nascente squadrismo distinguendosi per coraggio e forza, sfrontatezza che riportava nei suoi spregiudicati articoli dove evidenziava dal suo punto di vista il degrado della nazione. Nel 1921 venne eletto alla Camera dei Deputati e un anno dopo fondò quella che divenne la sua rivista personale, Il Regime Fascista (fino al 1929 chiamata Nuova Cremona). La sua opera di propaganda in Emilia Romagna e in tutta la bassa valle padana si fece conoscere per l'intensità e per i metodi poco ortodossi nel convertire la folla alla dottrina fascista. Per le sue azioni e per il potere che si era conquistato nella sua città venne soprannominato "Ras", termine etiopico che sta per "re". In poco tempo Farinacci divenne uno dei capi incontrastati dello squadrismo riuscendo in azioni di offensiva ai danni di socialisti e comunisti riportando sempre grandi vittorie. Fu lui che definì più volte lo squadrismo un arma indispensabile del partito per instaurare un nuovo regime, per cui riconosceva nei suoi uomini una delle parti vitali del Pnf. In seguito al delitto Matteotti lo squadrismo venne normalizzato nella Milizia volontaria per la sicurezza nazionale e Farinacci si ritrovò da solo con la sua anima ribelle contro un mondo di gerarchi che si era accostato alla linea guida del Duce. I suoi rapporti con Mussolini che, fino a quel momento erano stati caldi e stretti, si fecero freddi e segnati da critiche aspre e sempre più frequenti. Farinacci rimproverava al Duce di essersi venduto a quelle forze liberali che lui si era proposto di combattere. Farinacci e Mussolini incarnavano le  due anime differenti del fascismo: il primo battagliero e legato al fascismo sansepolcrista, mentre il secondo ormai compromesso con i poteri forti. Tra il 1925 e il 1926 fu segretario del Pnf, ma la sua carica fu molto breve. Si dimise volontariamente da tale ruolo e la contentezza di Mussolini per questa azione fu manifesta e accolta con favore da altri gerarchi, Italo Balbo ad esempio, che già da tempo avevano dubbi sulla fedeltà al Duce e sulla sua onestà. Farinacci fece le veci dell'opposizione all'interno del Pnf tanto da contestare le principali operazioni diplomatiche di Mussolini come il Concordato con la Chiesa Cattolica nel 1929. La goccia che fece traboccare il vaso fu l'attaccò ad Arnaldo Mussolino, fratello di Benito, accusandolo di aver preso tangenti in varie occasioni. Il 1930 fu l'anno della sua estromissione da ogni ambiente politico.
Ormai fuori dalla politica, Farinacci aveva solo un modo per entrare di nuovo nel partito: dimostrare il proprio valore nelle guerre coloniali. Ed è proprio in Etiopia che, grazie al suo valore (che gli costò la mano destra), ebbe decorazioni e fu reintrodotto nelle gerarchia del regime. Siamo in pieni anni trenta e il regime fascista si stava avvicinando a Hitler e al nazismo. Farinacci giocò un ruolo molto importante nei rapporti diplomatici con i tedeschi, specie con Goebbels, con il quale strinse amicizia. Essendo legato fortemente alle gerarchie tedesche sostenne l'entrata in guerra dell'Italia fin dal 1939. Per punire tali atti di insubordinazione venne punito con il sequestro del giornale e con ripetuti controlli polizieschi. Quando l'Italia entrò in guerra a fianco della Germania Farinacci iniziò una campagna stampa contro i presunti traditori. La guerra stava prendendo una piega negativa e già si profilava la caduta del regime. Secondo alcuni Farinacci, al corrente dell'Ordine Grandi, cercò di informare il Duce tramite Hitler senza però riuscirci o, secondo altri, Mussolini non tenne conto delle sue parole. Dopo l'8 settembre Farinacci si rifugiò a Monaco dove di lì sarebbe dovuto partire per Salò dove avrebbe dovuto prendere la carica di reggente della RSI. Al suo posto, all'ultimo momento, venne posto Mussolini liberato qualche giorno prima. Estromesso ormai dalla nova istituzione, assistette alla fine dell'ultima resistenza fascista. Alla caduta della repubblica di Salò fuggì da Cremona per rifugiarsi in Valtellina. Durante il tragitto fu fermato da una pattuglia partigiana e portato nel comune di Vimercate (MB) dove venne fucilato il 28 aprile 1945 dopo un sommario processo.

sabato 26 maggio 2012

I rinnegati: elogio all'eversività

Li chiamano rinnegati, non perché sono stati disconosciuti dai loro padri, ma, al contrario, erano ragazzi e giovani intellettuali che hanno rinnegato loro stessi la loro origine e la loro famiglia. Erano figli di buona famiglia, borghesi e dediti ai lussi più sfarzosi. Avevano tutto, ma qualcosa mancava nei loro animi: una insoddisfazione che nessun vizio o oggetto poteva colmare. Un senso di appartenere ad una collettività che il liberal - capitalismo sembrava negare e una giustizia sociale che non veniva garantita a tutte le classi sociali. Quei vizi e quel lusso che avrebbero dovuto soddisfare tutte le loro esigenze era un fardello troppo grande, consci dell'importanza di "essere", di agire, di vivere per la collettività piuttosto che "avere" e vivere nel proprio egoismo. Una nuova etica pervadeva questi giovani che erano pronti a sacrificare le proprie ricchezze per scendere nei meandri più oscuri della società e da li agire per il riscatto umano e del povero. La parola d'ordine era "socialismo", lotta contro quella borghesia che li aveva visti nascere e contro quelle forze che minacciavano l'unità delle classi popolari e la collettività. I loro nomi sono entrati nel pantheon dei rivoluzionari e dei maestri del socialismo e hanno costituito dei modelli per tutti coloro che, stanchi dell'avere, preferivano l'essere, l'azione e il mutuo soccorso. Marcello Gallian, Karl Marx, Friedrich Engels, Errico Malatesta, Michael Bakunin e molti altri ancora sono alcune delle voci più importanti di questo fenomeno sociale e politico che ha interessato la seconda metà dell'ottocento fino quasi agli ultimi decenni del novecento. Molte altri ancora furono i rinnegati, ma la storia li ha dimenticati. Oggi sembra impossibile il riproporsi di una situazione simile, anche perché le condizioni sociali, politiche ed economiche sono diverse e probabilmente la situazione di crisi ha esercitato una influenza diversa sul pensiero di questi giovani. In questa epoca di riflusso e di materialismo sfrenato queste figure sarebbero dei pazzi che parlerebbero di cose insolite e addirittura folli: sarebbero come quei profeti che parlavano alle folle annunciando la venuta del Salvatore, ma costoro li prendevano per pazzi o per dei bugiardi. Il profeta o il ribelle non è mai apprezzato nel proprio contesto perché mostra immagini e concetti trasgressivi che ledono il buon e fittizio vivere quotidiano. Meglio la sicurezza e la fittizia pace che lottare contro quelle forze che, con la democrazia, hanno cambiato volto nascondendolo con una maschera buona e cordiale. L'elogio all'eversività non significa essere terroristi o uccidere, ma essere eversivi con la ragione per una vita sovrumana.

Eurocomunismo: la nuova via del socialismo europeo

Negli anni settanta del novecento era ormai chiaro il profondo abisso che esisteva tra il socialismo di stampo sovietico, dogmatico e repressivo, e un altro di stampo socialdemocratico. In Italia il Pci da tempo (a partire dalla fine della seconda guerra mondiale) si era attestato su posizioni riformiste e democratiche, scegliendo di difendere la democrazia borghese e di sostenere il proletariato tramite riforme sociali. Questa nuova essenza di un partito che si definiva ancora comunista era stata avvertita da un politico oculato come Enrico Berlinguer, segreteria del Pci. Il suo carisma e la sua immagine di politico onesto hanno contribuito a dare una nuova visione del socialismo, lontano dalle nefande influenze del sistema sovietico, dove accanto alla difesa del proletariato si posizionava il sostegno alla democrazia, vista come massima espressione dell'individuo. Nel 1976 i tempi erano ormai maturi per mettere definitivamente in chiaro le carte in tavola. Il socialismo europeo stava imboccando una via socialdemocratica, allontanandosi definitivamente dal marxismo. Questo nuovo volto poteva dare una nuova luce ai partiti comunisti europei, specie quello spagnolo, francese e italiano, più moderata e antisovietica, permettendo un loro eventuale ingresso nelle coalizioni di governo. Fu così che si decise di imprimere una nuova via al socialismo dell'Europa occidentale. Queste decisioni provocarono forti tensioni tra il Pcus e i partiti europei, specie quando Berlinguer dichiarò il suo progetto di eurocomunismo e di difesa della pluralità di fronte ai delegati del Pcus nel 1976 a Mosca, scatenando le critiche e le ire dei membri più anziani. Tra il 29 e 30 luglio 1976 a Berlino si svolse una conferenza fra i rappresentanti dei partiti comunisti italiani, spagnoli e francesi. Enrico Berlinguer era tra i partecipanti e fu colui che con maggior forza si oppose ai tentativi dei delegati del Pcus di imporre al congresso la supremazia sovietica. Durante i lavori successivi si misero in luce i punti essenziali che porteranno alla nascita dell'eurocomunismo. A Madrid nel 1977 si tenne un secondo congresso a cui presero parte Berlinguer per il Pci, Santiago Carrillo per il PCE e George Marchais per il PCF. Gli esiti del congresso di Berlino andarono a supportare la teorizzazione della "nuova via del socialismo europeo", noto con l'etichetta "Eurocomunismo". In generale si era concordi nel dire che le condizioni sociali e politiche erano profondamente cambiate per cui parlare ancora di rivoluzione e di massimalismo era anacronistico. Adesso il socialismo doveva superare la fase marxista e farsi riformista: tramite una politica di riforma a lungo termine era possibile realizzare una società di stampo socialista. Inoltre si riconobbe che si era venuta a creare un nuovo clima sociale e politico dove il femminismo, la lotta per la decolonizzazione, per i diritti delle minoranze e quant'altro costituivano le basi di un vasto movimento di rinnovamento. Le parole chiavi dell'eurocomunismo erano in definitiva "socialismo, democrazia e progresso". L'influenza di queste idee andò a minare la solidità di quei partiti comunisti che erano ancora legati all'URSS. In Europa i comunisti inglesi aderirono all'Eurocomunismo, mentre fuori dall'Europa, in Asia, il partito giapponese ad esempio si allineò alle decisioni di Madrid. L'Eurocomunismo non ebbe una vita lunga. Nel 1979, in occasione delle elezioni europee, il blocco eurocomunista non ebbe i risultati sperati. Sostanzialmente tra i vari partiti comunisti non vi era un vero e proprio programma politico, ma solo propositi. Molti hanno visto nel tentennamento ideologico del PCF la causa della fine del progetto di Berlinguer. In parte le responsabilità del tramonto dell'eurocomunismo possono essere affibbiate al PCF che, come in seguito il PCE, decise di ritornare nell'alveolo del socialismo sovietico. In realtà i tentennamenti esistevano nel trovare una comune strategia politica tanto che le elezioni del 1979 furono una prova di questo atomismo. I tre partiti comunisti sostanzialmente intrapresero politiche autonome nei loro Paesi senza tener conto dei progetti fatti precedentemente. Anche gli errori di valutazione devono essere presi in considerazione. Si era programmato una serie di riforme sociali che si sarebbero potute attuare in una condizione di sviluppo economico in forte crescita. Cosa che oggettivamente non si ebbe visto che già agli inizi degli anni ottanta si videro i primi sintomi di stagnazione economica. Non è escluso neanche che questi partiti fossero ancora fortemente legati all'URSS e al mito della rivoluzione. Le scelte fatte, pur turbando i capi del Pcus, non erano volte a rompere del tutto con la Russia. Vi era ancora una silente riverenza nei confronti dei sovietici. Il PCE in particolare era poco propenso ad accettare parole d'ordine quale "pluralità" e "compromesso". Era un partito ancora fortemente ideologizzato tanto che una parte dei militanti rifiutarono di aderire al progetto. Nel 1981 Carrillo, fortemente legato a Mosca, decise di uscire dal partito e questo evento destabilizzante determinò la fuoriuscita degli spagnoli dal progetto eurocomunista. Il PCF con Marchais, ancora molto confuso sul da farsi sia a livello internazionale che a livello nazionale, si spinse verso posizioni filosovietiche, rinnegando l'adesione all'eurocomunismo. La stessa cosa accadde nel Pci dove vigevano ancora i vecchi schemi ideologici e dove una grande fetta dei militanti era ancora legata al mito della rivoluzione russa. Di fatto l'eurocomunismo, l'unico tentativo di rendere democratico il comunismo, fallì miseramente.

venerdì 25 maggio 2012

Per una Italia nuova (di Paolo R.)

PREMESSA:
Questo articolo è scritto in base a ciò che penso io personalmente ed alcune cose non potrebbero essere condivise e  andrebbero ad intaccare interessi di politici e non che non faranno mai riforme del genere altrimenti intaccherebbero troppo i propri interessi ed alcune sembrano anche irrealizzabili ma con una buona dose di coraggio sono fattibili anche loro! per favore non siate superficiali nel leggere questo articolo e arrivate fino alla fine! buona lettura.


PROPOSTE PER MIGLIORARE L’ITALIA:

PIANO POLITICO AMMINISTRATIVO ECONOMICO:
-riduzione del numero di parlamentari a 137 e del numero dei senatori ad 77 calcolato rispetto ai politici che hanno gli USA
-riduzione dei loro stipendi del 60% ed il resto si otterrebbe in base ai risultati politici per un aumento massimo del 25%  del proprio stipendio base 
-stop a doppi o più incarichi dei politici: se libero professionista può continuare la libera professione per non perdere clienti ma se dipendente il soggetto verrà messo in aspettativa forzata speciale per il tempo che sarà al governo e percepirà lo stipendio più favorevole tra quello di parlamentare e il lavoro precedente  
-eliminazione delle provincie 
-accorpamento dell’abruzzo al molise
-accorpamento dei comuni al di sotto dei 30000 abitanti così da limitare sprechi, corruzione e infiltrazioni mafiose ( perchè è più semplice controllare pochi individui rispetto a centinaia di migliaia) 
-accorpamento della Polizia di Stato ai Carabinieri perchè hanno le stesse funzioni e si può risparmiare sulle strutture e sui comandi (meno indennità di comando)
-rendere la Guardia di Finanza per il 95% solo polizia Tributaria poichè al momento solo il 50% dei finanzieri fà polizia tributaria mentre il resto fà ciò che fà la polizia e carabinieri
-rendere tutte le auto pubbliche a combustione a metano o gpl per risparmiare e inquinare di meno
-rendere lo stipendio nel pubblico variabile in base ai risultati (variazione anche del 30%) che si deciderebbe in base al bilancio pubblicato entro il 31 dicembre di ogni anno: se il bilancio è negativo si ha una decurtazione dello stipendio di tutti i dipendenti e in caso contrario cioè pareggio di bilancio si ha un aumento di stipendio per tutti così da aumentare la produttività ed eliminare gli sprechi
- con il denaro risparmiato dai tagli alla politica metà deve essere reimpiegato nella lotta all’evasione fiscale ed al crimine e l’altra metà per il sostegno alle imprese, famiglie, lavoro 
-eliminazione del denaro cartaceo e sostituita da moneta elettronica così da avere un controllo eccellente per la lotta all'evasione fiscale, controllo della corruzione e di tutte le attività criminali e anche salvare le banche che potrebbero sempre concedere prestiti, mutui e quindi non far fermare mai gli ingranaggi della nostra economia) e poi lo stato risparmierebbe almeno 10 miliardi che servirebbero ogni anno per produrre denaro cartaceo e a moneta potendo riutilizzare questa somma per il bene comune o per diminuire le tasse
eliminazione quasi totale della libera professione:
* per il commercio ci deve essere solo un negozio di una compagnia importante che offra tutti servizi (conad, coop ecc) ogni 3000 abitanti e devono distanziarsi (I negozi della stessa compagnia) di almeno 20 km l’una d’altra per garantire concorrenza (dico compagnie importanti perchè esse non possono permettersi di non emettere scontrini fiscali poichè nuocerebbe alla propria reputazione e perderebbe immediatamente clienti), questo gioverebbe sia per la qualità dei servizi offerti ai cittadini, sia per le compagnie sia per l'occupazione (verrebbe debellato quasi completamente il lavoro nero e si creerebbero nuovi posti di lavoro)
* per i servizi creazione di società gestite direttamente dallo stato così da evitare qualsiasi evasione fiscale e riduzione dei costi al cittadino (dato che lo stato non dovrebbe pagare a se stesso l'IVA e altre tasse)
-l’8 per mille piò essere devoluto solo per il 30% alla chiesa (dato che secondo recenti statistiche solo il 25% degli italiani dona volontariamente l'8 per mille alla chiesa gli altri poichè non esprimono preferenze il loro contributo viene diviso tra le parti e chissà perchè alla fine la chiesa si ritrova l'85% di tutta la torta e non solo, la chiesa di tutto ciò spende solo il 22% in opere di carità), per il resto solo allo stato che lo dovrà utilizzare per la ricerca, protezione civile e carità


ISTRUZIONE
-abolizione della scuola media e introduzione del Ginnasio di 5 anni con culmine con l’attuale 2 superiore (così da garantire una istruzione di base eccellente a tutti con introduzione di elementi di latino e greco per aprire la mente e far ragionare, diritto e economia per sapere come muoversi in questa società moderna e elementi di educazione ambientale e alla salute per avere basi per vivere bene e rispettare l'ambiente) e diplomi validi come lauree triennali (con almeno 800 ore di tirocinio nell'arco dei 5 anni) e laurea vera 4 anni dopo il diploma
-abolizione dei tfa per insegnare ed introduzione del master di secondo livello in insegnamento (numero di posti da stabilire in base a prepensionamenti e darà diritto al posto a  tempo indeterminato previo superamento di tutti gli esami)
-ampliamento dei posti per il personale educativo (cioè coloro che aiutano nei compiti nei convitti) che oltre a sostituire il personale assente curerà anche la didattica pomeridiana (recuperi, potenziamenti, attività educative in genere) così dà evitare il ricorso a personale a tempo determinato
-potenziamento della ricerca con investimenti poichè la ricerca e poi lo sviluppo è l'anima della crescita economica (infatti un prodotto ha un picco di vendita nell'arco di pochi mesi e dopo le vendite si assestano fino a crollare, invece con l'innovazione si tiene sempre alta la vendita così da giovare a tutto il sistema economico

ENERGIA AMBIENTE POLITICHE AGRARIE E FORESTALI
- Investimenti per rendere tutti gli edifici pubblici ecosostenibili e obbligo di utilizzo di risorse riconducibili alle energie rinnovabili
- proporre soluzioni convenienti per istallazione di impianti fotovoltaici in private abitazioni o aziende (magari lo farebbe proprio l’enel che proponendo di fare il fotovoltaico gratis e facendo risparmiare il 60% della bolletta per 15 anni e rendendo dopo i 15 anni l’impianto proprietà del privato cittadino senza costi aggiuntivi) cos' da far risparmiare il cittadino, l'ambiente e anche lo stato (che deve importare di meno)
-disincentivazione per auto a benzina o diesel se non euro 5 attraverso tassazioni aggiuntive che farebbero lievitare il prezzo di queste auto e incentivi per le altre auto così di arrivare ad un punto di incontro nel prezzo così da far diventare conveniente le macchine ecologiche
-asprimento delle sanzioni per chi inquina o fà qualsiasi danno ambientale e paesaggistico in aree protette 
-incentivazione al made in Italy con diminuzione delle importazioni di merce producibile in Italia come agrumi, vino ecc così da favorire il consumo di qualità in Italia favorire l'occupazione in questo ambito con risparmio sia per lo stato sia per il cittadino (meno costi di gestione e logistica per lo stato

IMMIGRAZIONE
-è possibile solo se i migranti portano conoscenze necessarie al paese (es in italia mancano artigiani e professionisti in ambito economico) e coloro che vengono in Italia senza questi requisiti saranno espulsi immediatamente a meno di casi eccezionali (rifugiati politici, paese di origine in guerra). Ho preso spunto dal sistema Australiano e Neozelandese, così facendo li la percentuale di disoccupazione è al 4 % contro quasi il 10% qui. Potrebbe sembrare razzista ma la cosa è molto equa e diminuirebbe di molto la criminalità e il degrado!


INFRASTRUTTURE
-Le aziende che ottengono gli appalti non dovranno sforare il budget e per ogni giorno di ritardo rispetto alla tabella di marcia concordata dovranno pagare una grossa sanzione economica (almeno 10000 euro per ogni giorno di ritardo sul modello di Dubai) così da scoraggiare le imprese mafiose e invogliare le aziende serie ad accettare queste sfide con aumento della produttività, efficienze e anche la qualità!

Omaggio alla Catalogna: l'utopia realizzata

"Omaggio della Catalogna" è uno dei diari di guerra più belli e interessanti mai scritti. Il suo autore è un noto scrittore inglese, George Orwell, giornalista e politico inglese, aderente prima alla sinistra massimalista e successivamente attestatosi su posizioni socialdemocratiche. Causa di questo cambiamento politico? Lo stalinismo e la ferocia della dittatura staliniana. Orwell con la sua mente lucida, tipica del giornalista, aveva compreso in che direzione stesse andando il movimento operaio internazionale, causando non solo sofferenza, ma anche oppressione e morte. Allo scoppio della guerra civile spagnola (1936 - 1939) Orwell si era unito alle Brigate Internazionali che si erano formate per affiancare il Fronte Popolare nella difesa della seconda repubblica spagnola. Per la prima volta si erano viste forze politiche opposte, marxisti, anarchici e socialdemocratici, cooperare contro un comune nemico: il generale Francisco Franco, sostenuto dal Fuher Adolf Hitler e dal Duce Benito Mussolini. In Catalogna, dove l'anarchismo e le idee trozkiste ebbero maggiore presa, si può dire che sotto gli anarchici, guidati da un carismatico Buenaventura Durruti, realizzarono quella che può essere definita una società comunista. Collettivizzarono le industrie e tutti i mezzi di produzione e in generale si realizzarono forme collettive di gestione della società. Gli anarchici del sindacato CNT (Confederacion Nacional de Trabajo) e del FAI (Federacion Anarquista Iberica) e il POUM (Partito Operaio di Unificazione Marxista, di stampo trozkista e antistalinista) erano le forze più attive del fronte contrapposte al PSUC (Partito Socialista di Unificazione Catalana) e al PCE (Partido Comunista de Espana) che sempre di più si stavano avvicinando alle linee guida di Mosca. Le due forze maggiori del FP inevitabilmente cozzarono creando problemi alla solidità della coalizione determinando la pronta vittoria del Fronte Nazionale. I due schieramenti fin da subito si scontrano sull'opportunità o meno di portare avanti la rivoluzione in tempo di guerra. Gli anarchici e i trozkisti volevano approfittare della situazione e compiere quella rivoluzione che in Russia era stata affossata da Stalin. Avevano compreso che il proletariato era in uno stato di mobilitazione tale da poter facilmente spezzare le difese dello Stato borghese. Questo progetto trovò opposizione negli ambienti socialdemocratici e stalinisti. La guerra doveva essere portata a termine, dicevano costoro, anche e soprattutto con l'aiuto della borghesia. Terminata la guerra, eliminato un nemico come Franco, si sarebbe fatta la rivoluzione. Il Fronte Popolare si spaccò e le forze staliniste al governo, con la complicità degli ambienti socialisti, non tardarono ad organizzare azioni forza contro gli anarchici e i trozkisti. Orwell racconta che le azioni contro i rivoluzionari iniziarono quando le forze di polizia occuparono la centrale telefonica di Barcellona che era stata la prima azienda ad essere collettivizzata e gestita dal CNT. Barcellona fu il teatro di scontro di questa guerra fatricida che si svolse tra il 3 e l'8 maggio 1937. Da un lato vi erano gli anarchici del CNT e una parte dei combattenti della Colonna Durruti insieme con i militanti del POUM; dall'altro lato le milizie popolari che imposero ai loro ex compagni di sciogliere il loro esercito e sottostare alle decisioni del governo. I combattimenti furono sanguinosi e il fronte rivoluzionario venne represso e, dopo le dimissioni del governo Caballero (primo governo sostenuto da fazioni rivoluzionarie), si intensificarono con il nuovo presidente Juan Negrin le epurazioni dei nemici di Mosca. Le collettivizzazioni furono bloccate e gli anarchici e tutti coloro sospettati di trozkismo furono estromessi dalle istituzioni e dal prender parte alla vita pubblica e politica. Di fatto la rivoluzione, come in Germania, Russia e Italia, era stata soppressa.

giovedì 24 maggio 2012

In ricordo dei "Martiri di Chicago"


Nel 1867 gli operai americani scioperarono per diversi giorni lottando contro le forze dell'ordine e i padroni. Nonostante il sangue versato durante queste giornate, si riuscì a ottenere quello che si chiedeva: la giornata lavorativa di otto ore, approvata per la prima volta dallo Stato dell'Illinois.
La Prima internazionale di lì a poco tempo ratificherà la decisione di portare avanti tale battaglia anche in Europa dove il proletariato, oltre ad essere molto più vasto, viveva in una condizione miserevole.
Questa scintilla fece scoppiare una serie di scioperi e di rivolte che portarono la borghesia industriale a concedere diritti e agevolazioni, accettando in parte le richieste operaie. Nel 1882, precisamente il 5 settembre, i “Cavalieri del Lavoro” di New York organizzarono una festa per commemorare queste battaglie. Due anni dopo, nel 1884, si decise di far cadere annualmente questa festa con la collaborazione di comunisti e anarchici scegliendo come data il 1° maggio.
Dietro la scelta del 1° maggio c'è un evento che sconvolse il mondo socialista. Il 3 maggio del 1886 a Chicago scoppiò la cosiddetta “Rivolta di Haymarket”. Alcuni lavoratori scioperanti furono caricati dalla polizia la quale non ci pensò due volte a sparare. Per questi fati gli anarchici organizzarono una manifestazione presso Haymarket Square il 4 maggio. Di risposta la polizia caricò di nuovo la folla, sparando e uccidendo moltissimi manifestanti.
Le azioni di repressione riguardarono anche chi organizzava la ricorrenza del 1° maggio. Nel 1887 sempre a Chicago, una delle polveriere sociali degli Usa, furono processati e impiccati quattro rappresentanti di sindacati per aver organizzato tale festa. Sempre in quei giorni il presidente Grover Cleveland affermò che la festa del 1° maggio dovesse essere organizzata ogni anno per commemorare tali incidenti. Per coercizione o per un ripensamento più tardi ritirò le sue dichiarazioni. Di fatto i “martiri Chicago” diedero l'effetto sperato: durante una manifestazione di lutto si radunarono nella città americana migliaia e migliaia di lavoratori che dimostrarono la forza dell'idea socialista.
Dagli Stati Uniti la festa venne esportata in molti Paesi prima con la Prima Internazionale e poi con la Seconda. Fu proprio quest'ultima nel 1889 a ratificarla a Parigi. In Italia il Primo Maggio venne introdotto nel 1891, interrotta durante il periodo fascista e ripristinata nel 1945.

Desaparecidos!


La storia dei Desaparecidos ci porta in Sud America nei fatidici anni 70. In Cile, in Argentina e in molti altri Stati i governi democratici, eletti con il consenso popolare, furono deposti con le armi e con l'appoggio di un sistema di spionaggio e di controrivoluzione gestito direttamente dagli Usa. Questa vasta operazione denominata “Condor” scongiurò in breve tempo ipotetici rivoluzioni comuniste sul modello cubano.
Nel 1973 in Cile il governo socialista di Allende venne rovesciato con un golpe dal generale Augusto Pinochet il quale instaurò un regime autoritario e repressivo.
Nel 1976 toccò all'Argentina. Dopo un periodo di instabilità politica seguita alla morte di Juan Peron, un gruppo armato guidato da generali sovversivi capeggiati dal generale Videla rovesciò il governo democratico di Isabel Peron, moglie del defunto Juan.
In tutte e due questi Paesi le voci del dissenso non si fecero attendere. Sia in Argentina che in Cile molti esponenti della sinistra radicale e di quella moderata furono arrestati e imprigionati. A Santiago del Cile i dissidenti scesi in piazza contro Pinochet furono condotti e imprigionati nello stadio cittadino. Le foto e le testimonianze di chi aveva assistito a tali scene fecero il giro del mondo, ma, a causa della censura politica, ben presto le notizie dal fronte cileno furono interrotte e della sorte dei prigionieri non si seppe più niente. Dal 1973 al 1976 almeno per il Cile non giunsero più voci riguardante i continui arresti e uccisioni.
Le modalità e le strategie di repressione furono identiche e tutte volte a stroncare il dissenso in segreto. Le squadre militari agivano in borghese e a bordo di Ford Falcon verdi e con il favore delle tenebre sorprendevano nel sonno i loro obiettivi. L'immagine di queste squadre della morte ancora oggi vive nei ricordi di chi ha vissuto questi momenti specie in Argentina dove il fenomeno della repressione è stato più capillare.
Una volta catturati i criminali venivano portati in luoghi segreti: in Argentina ad esempio si utilizzò per vari anni il centro di addestramento della Marina Militare ESMA a Buenos Aires. In questi centri di prigionia camuffati i prigionieri venivano torturati fino alla morte. Una domanda ci si è posti fin dall'inizio quando questi fatti vennero a galla: dove sono finiti i cadaveri dei prigionieri uccisi?
Per occultare tutto ciò si organizzarono una serie di “Voli della Morte”: questi voli sorvolavano l'Oceano Pacifico o Atlantico per gettare in mare i corpi con il petto squarciato per attirare i predatori e far sparire definitivamente i cadaveri.
Un velo scuro si distendeva su questi avvenimenti fino al 16 settembre 1976. Con “La notte delle matite spezzate” l'attenzione dell'opinione mondiale si rivolse definitivamente verso ciò che stava accadendo in Argentina e in generale in Sud America.
A La Plaza, un comune in provincia di Buenos Aires, un gruppo di studenti scese in piazza per protestare contro il regime autoritario. La reazione del regime non si fece attendere. La notte del 16 settembre la polizia arrestò e disperse il movimento. Gli otto capi della rivolta furono arrestati e da quel momento in poi di loro non si seppe più nulla .
La verità non rimase a lungo nascosta. Con la caduta di Pinochet e del regime dei Generali in Argentina e con il ritorno della democrazia le inchieste sulle atrocità commesse furono molte e volte a svelare i retroscena più oscuri.
A Buenos Aires nel 1983 venne ripristinata la democrazia e con essa un forte senso di legalità che accrebbe il senso di giustizia contro i responsabili della repressione. Dopo la caduta del generale Videla, il neopresidente Raul Alfonsine si accinse a mettere sotto inchiesta i principali protagonisti del vecchio regime e a dare giustizia e restituire serenità alle famiglie dei desaparecidos. Un grande impulso in questa lotta venne dato dal movimento “Madri di Plaza de Mayo”, un associazione nata dopo il regime autoritario di Videla e formato dalle madri delle vittime. Queste coraggiose donne di tutte le età sfidarono le autorità e a gran voce chiedesero giustizia e verità per restituire dignità ai loro cari defunti. Il nome è ripreso dalla piazza di Buenos Aires dove si riunirono per la prima volta sfilando con un fazzoletto bianco in testa che divenne il simbolo del movimento.
Il 15 dicembre del 1983 il presidente Alfonsin dette vita al “Conadep” (Commissione Nazionale sulle Persone Scomparse). Composta da celebri figure della cultura e della politica argentina, ha svolto una serie di inchieste che tuttora continuano per contare e classificare i morti della repressione. Il prodotto ultimo in continuo aggiornamento è il “Nunca Mas” (Mai più) del 1984 dove sono elencate le cifre dei dispersi e i nomi dei responsabili della “junta” militare responsabile delle uccisioni. Secondo tale rapporto le persone scomparse sono circa 30.000 di cui 9000 sono i morti accertati: questa cifra comunque è in continua crescita man mano che gli archivi segreti vengono aperti e studiati.
I processi contro i gerarchi della junta argentina sono stati poco proficui visto la forte pressione di ambienti militare che hanno portato alla scarcerazione di molte personalità. Nel 2007 con lo stupore di gran parte dell'opinione pubblica internazionale venne arrestata in Spagna Isabel Peron con l'accusa di aver ucciso un desaparecido.

La vicenda dei Desaparecidos ha suscitato anche grande clamore negli ambienti culturali internazionali. Film, romanzi, musiche sono i principali veicoli attraverso i quali questa storia atroce viene raccontata. “La casa degli spiriti” di Isabel Allende o “Hijos” di Marco Bechis sono alcuni degli esempi celebri di come la cultura sia sensibile a questi temi e faccia di tutto per supportare una causa che tuttora non ha ancora trovato fine ne giustizia.

Nemico alle porte


Il 1959 aveva rappresentato un segnale di pericolo per gli Stati Uniti. Fidel Castro aveva di fatto spodestato il regime filo – americano di Batista rendendo Cuba uno Stato socialista. Questo evento, oltre a segnare l'estromissione delle multinazionali del petrolio dal controllo del greggio cubano, sanciva di fatto la forte influenza che l'Unione Sovietica esercitava nei Paesi sudamericani. Per cui era necessario agire subito per arginare una minaccia che avrebbe creato gravi danni all'imperialismo americano.

Il piano, organizzato dalla Cia, prevedeva la creazione di una rete di opposizione clandestina che attuasse una efficacie e capillare propaganda. A tale scopo il 22 marzo del 1961 venne creato il “Concilio Rivoluzionario Cubano e, già a partire dal maggio del 1960, erano attive una serie di radio gestite da esuli come Radio Swan che venne scelta per le comunicazione con i sovversivi e con gruppi di sabotaggio (Gruppo Alpha 66).
Tale operazione fu denominata “Programma per un'azione segreta contro il regime di Castro” (nome in codice “Jmarc”). I padri di tale progetto furono gli esuli cubani del “Gruppo 5412” con il patrocinio di Richard Nixon, allora vicepresidente dell'amministrazione di Dwight Eisenhower, che lo firmò il 17 marzo 1960. Alcuni quotidiani sudamericani e americani avevano dato notizie riguardanti operazioni di reclutamento e addestramento di cubani per un fine che allora era sconosciuto. Lo stesso “New York Times” il 10 gennaio 1960 ne diede notizia parlando di una piantagione di caffè dove si addestravano truppe da inviare contro il regime cubano. Tale notizia non fece grande scalpore perché il governo, prima della fine dell'amministrazione Eisenhower, aveva comunicato alla stampa tali progetti.
Il 17 gennaio 1961 Eisenhower lasciò la Casa Bianca per la fine del mandato e si decise di cambiare il nome del programma in “Operazione Pluto” e successivamente , dopo una serie di modifiche, in “Operazione Zapata. Ad autorizzarla fu Allen Dulles, direttore della Cia, e il neo presidente J.F. Kennedy.
L'11 aprile 1961 il ministro della guerra inglese, Louis Mountbatten, venne invitato a Washington e messo al corrente dell'operazione. Il ministro inglese dimostrò la sua contrarietà mettendo a conoscenza l'MI – 6, il servizio di spionaggio inglese. Tramite probabili spie doppiogiochiste queste informazioni furono passate al KGB, il servizio di spionaggio russo. Sia i russi che gli inglesi si mostreranno sempre contrari all'Operazione Zapata. Radio Mosca il 13 aprile 1961 trasmise un messaggio in lingua inglese in cui si avvertivano i cubani dell'intenzione degli Usa di occupare militarmente l'isola con il favore di una fitta rete di oppositori sabotatori. Per rappresaglia ci furono una serie di incendi strategici, ma questi non impedirono a Castro di organizzarsi a dovere.

Gli strateghi cubani e americani pianificarono un piano bellico dettagliatissimo. I ribelli, addestrati dalla Cia in Guatemala e in altri campi negli Usa, dovevano occupare per prima la città di Trinidad nel sud del Paese, notoriamente anticastrista. Con il sostegno della popolazione e di altri guerriglieri avrebbero mosso i primi atti di guerriglia sulle Montagne Escambray. Kennedy modificò il programma scegliendo come luogo di sbarco la zone semi paludosa di Zapata, nella Baia dei Porci. Tale decisione fu un grosso sbaglio: era un terreno poco pratico per sbarchi e senza vie di fuga. Il presidente comprese tali difficoltà e decide di inviare a supporto i paracadutisti che avrebbero dovuto chiudere le vie d'accesso alla Baia. Lo scopo principale era quello di liberare una striscia di terra dove si sarebbe instaurato un governo provvisorio sostenuto dagli Usa. Dopo di che si sarebbe potuto dichiarare guerra e, con il supporto americano, occupare l'isola.

Il 17 aprile all'una di notte un gruppo di sommozzatori arrivò presso la spiaggia della baia con lo scopo di indicare la costa alle navi pronte per lo sbarco. Durante tale operazione una camionetta cubana entrò in contatto con un sommozzatore che le sparò contro. Ciò mise in guardia i cubani che si prepararono a ricevere i nemici. Era previsto lo sbarco di 1453 persone e di diverse autovetture e certo numero di carri armati. I soldati cubani al comando degli ex guerriglieri del “Movimento 26 luglio” si arroccarono intorno alla Baia per respingerli. Alcuni aerei da caccia cubani, Far Fury e T-33 (sopravvissuti a bombardamenti dei giorni precedenti attuati dall'aviazione americana) si levarono in volo e bombardarono una nave di comando “Rio Escondido” e la nave “Huston adibite al trasporto logistico. In questo modo gli attaccanti persero il grosso della loro logistica. Insieme a queste due navi furono danneggiate molti mezzi da sbarco.
Il giorno dopo alle 14.00 circa Krusciov minacciò come rappresaglia l'intervento delle forze russe a Cuba. Alcuni reparti d'assalto americani, come “Operazione 40” capitanato da Allen Dulles, furono richiamati per evitare ulteriori incidenti e per il fallimento dello sbarco.
1l 19 aprile il corpo di sbarco, falcidiato e privo di munizioni e di alimenti, decide la ritirata. A sostegno dei fuggitivi furono inviati 8 bombardieri B-26 e un gruppo di Skyhawk A-4s. Le squadriglie arrivarono troppo in ritardo a causa del fuso orario e alcuni dei velivoli furono abbattuti. Due piloti dei B-26, Leo F. Berliss e Thomas W. Ray, continuarono la battaglia per permettere ai fuggitivi di salire a bordo di sommergibili. I loro aerei furono abbattuti riuscendo però a salvarsi. Mentre tentavano la fuga furono uccisi e i loro corpi congelati come trofeo di guerra e per testimoniare il coinvolgimento americano nell'attacco a Cuba.
Il Concilio Rivoluzionario Cubano, messo al corrente della tragedia, contestò alcuni errori dei servizi di spionaggio e chiese più volte l'intervento dell'esercito americano per invadere l'isola. Kennedy stesso rifiutò queste proposte e decise di cambiare tattica nella lotta contro il Blocco Sovietico che doveva concentrarsi su più fronti e non solo su quello cubano. In tal modo declinò ogni futuro progetto di lotta diretta contro Castro.
Le operazioni aeree cubane contro obbiettivi americani continuò. Il 20 aprile alcuni Far cubani abbatterono nove bombardieri B-26 dei sedici impiegati e affondarono due navi e otto lance da sbarco.
L'Operazione Zapata fu un clamoroso insuccesso. Dei 1453 anticastristi ne morirono 104, mentre i cubani riportarono 157 morti. 1.189 mercenari controrivoluzionari furono arrestati e imprigionati, ma trattati umanamente. Il 23 dicembre 1962 furono rilasciati una parte di essi in cambio di 53 milioni di dollari. Alcuni di essi furono arrestati per altri crimini commessi precedentemente sull'isola.