martedì 29 maggio 2012

Robert Owen: agli albori del socialismo

Erano gli anni ruggenti della prima rivoluzione industriale con le innovazioni tecnologiche e con un salto qualitativo della vita enorme e senza precedenti. Lo sviluppo economico sembrava irrefrenabile e la società stava vivendo una fase di transizione da un epoca passata, feudale e aristocratica, ad un altra, liberista e borghese. Gli effetti negativi non erano certo inferiori rispetto agli esiti positivi di questo slancio umano. Si profilava una serie di questioni sociali legati all'eccessivo sfruttamento del proletariato che si stava ammassando sempre di più nelle grandi città industrializzate. Questi disagi causarono problemi legati all'igiene e alla sicurezza tanto da sollevare in molti intellettuali e filantropi dell'epoca voci di dissenso. In quegli anni si svilupparono le prime forme di socialismo, utopistico e filantropico, ma che per la prima volta davano una soluzione ottimale ai molti disagi sociali. Queste ipotesi si svilupparono nei Paesi dove maggiormente la rivoluzione aveva intaccato profondamente le coscienze sociali e la stessa società, cioè i Paesi del Nord Europa come l'Inghilterra. Robert Owen fu uno dei primi intellettuali filantropi a darci una soluzione sistematica del problema e a tentare nel concreto di cambiare le cose. Di origini inglesi, Owen fu un noto imprenditore e, lavorando nel campo industriale, si rese subito conto dei disagi da risolvere. Influenzato da un certo determinismo sociale, Owen era convinto che l'individuo era frutto dell'ambiente in cui viveva per cui, cambiando condizioni di vita, molte questioni sociali potevano essere facilmente risolte. La sua politica sociale all'interno dei suoi cotonifici fu quella di migliorare sensibilmente le condizioni di vita degli operai sia aumentando i salari sia ridimensionando l'ambiente lavorativo e sociale, costruendo comunità per operai con scuole ed altri edifici socialmente utili. Inoltre stimò di poter stabilire ai suoi operai un eccellente servizio sanitario per poter migliore le condizioni di vita anche delle loro famiglia. Anche in campo educativo Owen si prestò a ideare un nuovo modello sociale e culturale: ad esempio abolendo il matrimonio e stabilendo che i figli delle coppie fossero allevate in comunità infantili gestite dalla comunità. Nel contempo però riuscì a stabilire un equazione, lavoro = valore, che sarà poi ripresa da Marx e che sarà uno dei principi fondamentali dell'economia.
Il primo tentativo di realizzare una comunità del genere avvenne nel 1826 a New Harmony negli Stati Uniti. Questa nuova organizzazione sociale e culturale non ebbe vita lunga: fallì miseramente. Ritentò anche in Inghilterra, ma non riuscì lo stesso nei suoi intendi. Affiancò questo lavoro filantropo con la costituzione delle prime organizzazioni sindacali e lui stesso, lasciato il suo ruolo di imprenditorie, si dedicò alle prima battaglie delle Trade Unions. Probabilmente una delle poche mosse riuscite di Owen fu quella di dare grande importanza al sindacalismo come spinta fondamentale al cambiamento sociale e politico della classe operaia. Le ragioni del suo fallimento sono molte dall'azzardata organizzazione sociale e culturale al fatto che, come riteneva Marx, non si possono realizzare forme comunitarie quando sono ancora vigenti i rapporti tipici del capitalismo; soprattutto è impossibile creare tale comunità in una società dove il principio del profitto è ancora norma etica e dove lo Stato sostiene il capitalismo. Secondo Marx, il padre del cosiddetto "socialismo scientifico", solo con un atto di forza, con una rivoluzione, era possibile realizzare forme di collettivizzazione nullificando il capitalismo. Una utopia che però ebbe il merito di spingere altri ad una ricerca scientifica che aveva come obbiettivo di avvicinare il più possibile l'utopia alla realtà.

Il rinnegato Berto Ricci

E' un rinnegato, un uomo che ha rinunciato alla sua origine e al benessere che ne deriva per seguire i suoi ideali e combattere per essi. E' una delle tante figure che hanno contraddistinto in positivo il fascismo italiano e che, ancora oggi, viene ricordato per la tenacia che dimostrò ogni momento della sua vita nella difesa dei propositi. Appartiene al quel grande gruppo di socialisti massimalisti e di anarchici che videro nel nascente movimento fascista l'unica forza rivoluzionaria in grado di cambiare il mondo conosciuto. Sto parlando del fiorentino Berto Ricci, noto matematico, ex anarchico avvicinatosi poi al fascismo e a Mussolini. Oggi lo si ricorda soprattutto per la sua fedeltà ai suoi ideali politici e per il suo sacrificio nel difenderli. Partito da posizioni anarchiche ben presto si avvicinò al nascente fascismo vedendo in esso l'occasione per l'Italia di riscattarsi sia politicamente che economicamente. Tali posizioni, che lo ponevano in netto contrasto con gli sviluppi successivi del fascismo, furono chiariti sulla rivista che fondò nel 1931, "L'Universale", (pubblicato fino al 25 agosto 1935) alla cui stesura collaborarono le voci note del panorama culturale dell'epoca: Indro Montanelli, Giuseppe Bottai ecc.
Come dice lui stesso il giornale doveva “raccogliere attorno a sé quei giovani intellettuali fascisti che volevano andare oltre il capitalismo, il nazionalismo e le degenerazioni storiche del cristianesimo, e che credevano in una cultura fascista universale, che non dimenticasse le proprie tradizioni e rispondesse alle vere esigenze del fascista perfetto, puro eroe senza classe, insofferente ad ogni disciplina, irruento, intelligente e testardo apostolo dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni"
Al pari di Gallian Ricci era insoddisfatto e avulso dal lusso dei salotti romani convinto sostenitore di uno stile di vita spartano e consono al decoro fascista. La sua tenacia intellettuale era seguita dall'azione, perché al pensiero deve seguire l'azione, senza la quale l'idea sarebbe sterile e astratta. Fu una delle anime ribelli del fascismo: anticlericale, anticapitalista e in generale anticonformista poco propenso ad accettare la morale borghese e le decisioni del regime. La sua lotta era finalizzata alla salvezza e alla purificazione dell'Italia per restituirle quel primato politico e culturale che da tempo immemorabile aveva perso. La sua Rivoluzione Radicale partiva da basi ideologiche molto forti che si rifacevano al concetto di eroismo di Nietzsche fino ad arrivare al pensiero sovversivo di Sorel, per attingere anche dalla tradizione pagana romana e dal cristianesimo più spartano e guerriero. Il suo spirito indomabile lo portò a partecipare agli eventi principali della sua epoca e a prender parte a guerre in nome della Patria e del Fascismo. Ecco perché partì nel 1935 volontario in Etiopia e l'esperienza bellica lo segnò a tal punto che in decise si arruolò come volontario di nuovo durante la seconda guerra mondiale, non facendo più ritorno in Patria (morì in Libia il 2 febbraio 1941). 

E se l'Italia fosse una repubblica presidenziale? (di Paolo R.)

La storia della nostra repubblica fin dalla sua origine ci ha insegnato che l’eccessiva divisione di potere ha portato sempre alla debolezza eccessiva dello Stato che ha impiegato più di 30 anni per debellare il fenomeno del terrorismo e ancora oggi non è riuscito a frenare quello delle mafie. Questo è stato possibile perché in Italia molti incarichi si accavallano e perché il parlamento ha troppo potere ed è sempre molto frammentato. Spesso non si raggiungono buone maggioranze per fare riforme coraggiose e definitive oppure accade che appena cade un governo il nuovo modifica le leggi precedenti per ottenere più consensi!
Ora una repubblica presidenziale è una forma di governo in cui il potere esecutivo si concentra nella figura del Presidente che è sia il capo dello Stato sia il capo del governo: generalmente è eletto direttamente dai cittadini e forma il suo governo; essendo capo di stato non ha bisogno di voto di fiducia parlamentare anche perché, avendo già ottenuto il voto della maggioranza dei cittadini, non ha bisogno della fiducia dei loro rappresentanti. La legittimazione attraverso il voto conferisce al presidente una chiara superiorità rispetto ai suoi ministri, non sempre rimarcato nei sistemi parlamentari.
In Francia e negli USA c’è questo sistema e sembra funzionare bene ma in generale l'Italia rispetto a questi due Paesi dimostra di avere una mentalità purtroppo molto diversa, a partire dai nostri politici che sono criticati e beffeggiati in tutto il mondo e non solo. Sono i primi ladri che rovinano un paese che sembra non essere basato sul lavoro come dice la costituzione ma sulla corruzione e la mafia. Ora se questo sistema prendesse piede anche in Italia come si comporterebbero i nostri concittadini: voterebbero come presidente uno come Berlusconi, Vendola, Bersani? Oppure può esistere una classe politica buona e forte allo stesso tempo che può prendere in mano la situazione con coraggio e determinazione? Secondo me in Italia né esistono purtroppo pochissimi e purtroppo vengono zittiti dai più così da poter fare i loro porci comodi. Quindi se l'Italia non diventasse una repubblica presidenziale le cose potrebbero peggiorare fino a sfociare in una dittatura dove i nostri politici potranno fare quello che vorranno alla luce del sole. In teoria una repubblica presidenziale è molto più democratica ovvero è una vera democrazia rispetto alla parlamentare dato che si sceglie direttamente chi ti governa ma, trovandoci in Italia, la cosa non potrebbe funzionare a meno che quei pochi politici onesti non si facciano avanti e non facciano sentire la propria voce!