giovedì 14 giugno 2012

Nazionalismo e patriottismo: due termini all'apparenza sinonimi

Patria e Nazione. Termini sinonimi, ma diversi nell'uso che ne è stato fatto. Di conseguenza patriottismo e nazionalismo, oltre ad indicare due momenti storici differenti, stanno ad indicare due ideologie contrapposte. Il patriottismo ha accompagnato i vari Risorgimenti che si sono verificati in Europa e in America. E' il desiderio di liberare, difendere e celebrare una Patria, intesa come luogo natio fisico e cultura. E' un atteggiamento che nasce in ambienti politici liberali e sociali di stampo borghesi. I primi patrioti appartenevano al mondo piccolo borghese e proprio questa classe, più dinamica e patriota, lanciò la sfida contro quei poteri che ostacolavano l'unità. In Italia il Risorgimento fu il prodotto di idee e prassi prettamente borghesi: le classi popolari o proletari (se si può parlare di proletariato in una Italia preindustriale in molti casi) erano totalmente escluse. Se si vuole parlare di un coinvolgimento del popolo minuto nelle lotte per la patria dobbiamo rifarci al proletariato urbano maggiormente più progressista e coinvolto nelle diatribe politiche. In generale le guerre per l'indipendenza non toccarono la classe proletaria. Diverso è il nazionalismo. Di solito al patriottismo, cioè alla lotta per la Patria, per la sua conquista o difesa, segue una fase nazionalistica (o di sciovinismo, una politica nazionalista particolarmente violenta), cioè un processo attraverso cui le masse vengono inquadrate nella nazione. Questa viene concepita come una comunità omogenea, i cui valori sono propri di quella cultura e compongono quel serbatoio spirituale che eleva la nazione ad un entità trascendentale. Il nazionalismo è una religione civile, come molti l'hanno definito, dove si celebrano riti atti a sacralizzare la nazione. A differenza del patriottismo, il nazionalismo punta ad elevare le masse nei processi di governo e a spingerle a esaltare la propria grandezza che deriva dall'appartenenza a quella precisa comunità nazionale. Non si vuole solo difendere e celebrare la madrepatria, ma svilupparla in grandezza e forza economica e politica. Non a caso l'imperialismo è un fenomeno che si lega particolarmente al nazionalismo.

Italiani: popolo calcistico

Gli italiani. Diceva il Duce "Italiani, popolo di Santi, Poeti e Navigatori". Una nazione neonata, ma con una storia così grande e ricca da far invidia agli antichi Stati Nazionali. Una storia e cultura unica (sorvolando sulle differenze locali) sulle quali potrebbe fondarsi una nazione prospera e stabile. Ma è davvero così? Il sogno di realizzare l'Italia Unita e un popolo unito si è realizzato? Le differenze regionali sono state amalgamate per rinascere come cultura unica? Si può dire che gli italiani sono una Nazione con la N maiuscola? La risposta è NO. All'unità territoriale non corrisponde l'unità culturale e sociale. O meglio non segue un senso culturale di Nazione. I patrioti del Risorgimento, che accolsero le idee antiche di fare dell'Italia una nazione unita, unificarono territorialmente il Paese: ma è rimasto un popolo disunito. Come diceva Le Bon gli italiani sono un popolo caotico che necessita di un bastone se vuole diventare rigido e inquadrato. Sorvolando sui retroscena dell'Unità, il Risorgimenti si può definire come un processo unitario lasciato a metà. Noi, siamo un popolo che non è mai stato veramente inquadrato in una Nazione ne la classe politica postunitaria ha mai pensato di fare un lavoro del genere. Troppo presi dai loro affari, i Savoia e i liberali hanno evitato di passare da uno sterile, ormai, patriottismo ad un nazionalismo acceso per inquadrare le masse. Sfatando Le Bon, posso dire che il filosofo francese non ha considerato la mancanza di questa politica sociale e culturale che necessita di suoi tempi. Al contrario in Germania dal patriottismo si è passati al nazionalismo in breve tempo. Dopo la lotta per l'Unità (patriottismo) si è passati a inquadrare le masse (nazionalismo) nell'idea di nazione. In Italia tutto questo non è mai successo e gli effetti si vedono ancora oggi. Mussolini si era impegnato nel forgiare l'italiano nuovo, guerriero e nazionale. Gli eventi e alcuni difetti interni al partito gli hanno negato risultati positivi. Le politiche di unità culturale del Duce hanno mirato ad eliminare i regionalismi e questo ha impedito in parte la passiva accettazione delle leggi per l'italianizzazione. Un confronto/ incontro tra regionalismi e nazione ci deve essere e deve essere proficuo. I vari movimenti separatisti, sorti tra la fine della seconda guerra mondiale e oggi, sono le prove di quanto dico. Vi sono sollo alcuni momenti quando un senso di nazione emerge negli italiani: le partite della nazionale di calcio. Solo in quei momenti (anche se in questo campo questo senso di collettività sta scemando) l'italiano avverte di trovarsi in una nazione. Siamo un popolo calcistico che solo nel calcio trova il senso di comunione.

Engels e l'antisemitismo

Non solo Marx ma anche Friedrich Engels nel 1890 si scagliò violentemente contro l'antisemitismo, pubblicando un articolo sul quotidiano socialdemocratico "Airbeiterzeitung" (Foglio dei lavoratori) intitolato "Sull'antisemitismo". L'articolo può essere semplicemente definito uno dei lavori meno riusciti del mondo marxista e dello stesso Engels sia per lo stile sia per le stesse tesi in esse espresse, frutto di una erronea analisi. Per l'economista tedesco questo atteggiamento di discriminazione era frutto sostanzialmente della reazione delle classi del mondo feudale contro il capitalismo, incarnato nella figura dell'ebreo, che stava stravolgendo i rapporti sociali. La borghesia attiva e democratica e il proletariato erano i nemici giurati di queste classi, piccola borghesia cattolica e protestante e aristocratica decaduta. Il tutto infarcito da una estetica socialista che prometteva una alternativa al capitalismo e al socialismo, progettando un sistema sociale ed economico corporativo. Al di là di ogni aspettativa l'unico modo, secondo Engels, per eliminare queste congetture non era una rivoluzione, ma assecondare lo sviluppo del capitalismo che inevitabilmente avrebbe portato alla scomparsa di queste tracce feudali e avrebbe aperto gli occhi al proletariato sulla vera essenza dell'antisemitismo.
Tali tesi sono oggettivamente sbagliate, in parte. E' vero che la figura dell'ebreo era usata come capro espiatorio per giustificare gli svantaggi del progresso, dall'altro lato però l'antisemitismo è prosperato anche in  un sistema capitalistico. Engels non aveva previsto che tali idee sarebbero fiorite anche nella nuova società democratica borghese, dove l'ebreo sarebbe stato il capro da sacrificare per purgare la società da quei mali che venivano ad essi attribuiti. Specie con il sionismo (una organizzazione culturale e politica che mirava a ottenere uno Stato ebraico in Palestina) il tema dell'ebreo nemico dei popoli acuì l'antisemitismo. In una visione marxista del mondo l'antigiudaismo, in particolare, era utilizzato per distrarre il proletariato dalle sue vere origini e dalla sua condizione nonché dal suo compito rivoluzionario. La classe borghese, specie la piccola borghesia che temeva la proletarizzazione, aveva tutti gli interessi per dividere il proletariato e ostacolare possibili minacce.