
Negli anni settanta del novecento era ormai chiaro il profondo abisso che esisteva tra il socialismo di stampo sovietico, dogmatico e repressivo, e un altro di stampo socialdemocratico. In Italia il Pci da tempo (a partire dalla fine della seconda guerra mondiale) si era attestato su posizioni riformiste e democratiche, scegliendo di difendere la democrazia borghese e di sostenere il proletariato tramite riforme sociali. Questa nuova essenza di un partito che si definiva ancora comunista era stata avvertita da un politico oculato come Enrico Berlinguer, segreteria del Pci. Il suo carisma e la sua immagine di politico onesto hanno contribuito a dare una nuova visione del socialismo, lontano dalle nefande influenze del sistema sovietico, dove accanto alla difesa del proletariato si posizionava il sostegno alla democrazia, vista come massima espressione dell'individuo. Nel 1976 i tempi erano ormai maturi per mettere definitivamente in chiaro le carte in tavola. Il socialismo europeo stava imboccando una via socialdemocratica, allontanandosi definitivamente dal marxismo. Questo nuovo volto poteva dare una nuova luce ai partiti comunisti europei, specie quello spagnolo, francese e italiano, più moderata e antisovietica, permettendo un loro eventuale ingresso nelle coalizioni di governo. Fu così che si decise di imprimere una nuova via al socialismo dell'Europa occidentale. Queste decisioni provocarono forti tensioni tra il Pcus e i partiti europei, specie quando Berlinguer dichiarò il suo progetto di eurocomunismo e di difesa della pluralità di fronte ai delegati del Pcus nel 1976 a Mosca, scatenando le critiche e le ire dei membri più anziani. Tra il 29 e 30 luglio 1976 a Berlino si svolse una conferenza fra i rappresentanti dei partiti comunisti italiani, spagnoli e francesi. Enrico Berlinguer era tra i partecipanti e fu colui che con maggior forza si oppose ai tentativi dei delegati del Pcus di imporre al congresso la supremazia sovietica. Durante i lavori successivi si misero in luce i punti essenziali che porteranno alla nascita dell'eurocomunismo. A Madrid nel 1977 si tenne un secondo congresso a cui presero parte Berlinguer per il Pci, Santiago Carrillo per il PCE e George Marchais per il PCF. Gli esiti del congresso di Berlino andarono a supportare la teorizzazione della "nuova via del socialismo europeo", noto con l'etichetta "Eurocomunismo". In generale si era concordi nel dire che le condizioni sociali e politiche erano profondamente cambiate per cui parlare ancora di rivoluzione e di massimalismo era anacronistico. Adesso il socialismo doveva superare la fase marxista e farsi riformista: tramite una politica di riforma a lungo termine era possibile realizzare una società di stampo socialista. Inoltre si riconobbe che si era venuta a creare un nuovo clima sociale e politico dove il femminismo, la lotta per la decolonizzazione, per i diritti delle minoranze e quant'altro costituivano le basi di un vasto movimento di rinnovamento. Le parole chiavi dell'eurocomunismo erano in definitiva "socialismo, democrazia e progresso". L'influenza di queste idee andò a minare la solidità di quei partiti comunisti che erano ancora legati all'URSS. In Europa i comunisti inglesi aderirono all'Eurocomunismo, mentre fuori dall'Europa, in Asia, il partito giapponese ad esempio si allineò alle decisioni di Madrid. L'Eurocomunismo non ebbe una vita lunga. Nel 1979, in occasione delle elezioni europee, il blocco eurocomunista non ebbe i risultati sperati. Sostanzialmente tra i vari partiti comunisti non vi era un vero e proprio programma politico, ma solo propositi. Molti hanno visto nel tentennamento ideologico del PCF la causa della fine del progetto di Berlinguer. In parte le responsabilità del tramonto dell'eurocomunismo possono essere affibbiate al PCF che, come in seguito il PCE, decise di ritornare nell'alveolo del socialismo sovietico. In realtà i tentennamenti esistevano nel trovare una comune strategia politica tanto che le elezioni del 1979 furono una prova di questo atomismo. I tre partiti comunisti sostanzialmente intrapresero politiche autonome nei loro Paesi senza tener conto dei progetti fatti precedentemente. Anche gli errori di valutazione devono essere presi in considerazione. Si era programmato una serie di riforme sociali che si sarebbero potute attuare in una condizione di sviluppo economico in forte crescita. Cosa che oggettivamente non si ebbe visto che già agli inizi degli anni ottanta si videro i primi sintomi di stagnazione economica. Non è escluso neanche che questi partiti fossero ancora fortemente legati all'URSS e al mito della rivoluzione. Le scelte fatte, pur turbando i capi del Pcus, non erano volte a rompere del tutto con la Russia. Vi era ancora una silente riverenza nei confronti dei sovietici. Il PCE in particolare era poco propenso ad accettare parole d'ordine quale "pluralità" e "compromesso". Era un partito ancora fortemente ideologizzato tanto che una parte dei militanti rifiutarono di aderire al progetto. Nel 1981 Carrillo, fortemente legato a Mosca, decise di uscire dal partito e questo evento destabilizzante determinò la fuoriuscita degli spagnoli dal progetto eurocomunista. Il PCF con Marchais, ancora molto confuso sul da farsi sia a livello internazionale che a livello nazionale, si spinse verso posizioni filosovietiche, rinnegando l'adesione all'eurocomunismo. La stessa cosa accadde nel Pci dove vigevano ancora i vecchi schemi ideologici e dove una grande fetta dei militanti era ancora legata al mito della rivoluzione russa. Di fatto l'eurocomunismo, l'unico tentativo di rendere democratico il comunismo, fallì miseramente.