lunedì 28 maggio 2012

Non vi accettiamo!

Negli anni 50 il pianeta si divideva in due zone di influenza: il Primo mondo che racchiudeva i Paesi industrializzati, con un sistema capital - liberale, capitanato dagli Stati Uniti; il Secondo mondo ruotante intorno all'Urss con un sistema economico e sociale omologo del capitalismo di Stato sovietico. Vi era poi un gruppo di Paesi sottosviluppati usciti dal colonialismo o ancora sotto la dominazione europea che si era soliti definire "Terzo mondo". Un raggruppamento estromesso dalle grandi competizioni che soffriva per il sottosviluppo e la rapacità con la quale i Paesi sviluppati depredavano le loro risorse. Ancora oggi circola lo stereotipo di queste nazioni deboli e incapaci di prendere decisioni serie. In quegli anni stavano nascendo movimenti nazionalisti che rivendicavano la sovranità su quelle terre o si erano verificati sconvolgimenti sociali e politici (come la rivoluzione cinese del 1949) che avevano messo in discussione la sovranità dei Paesi imperialisti e lo stereotipo sopra citato. Ormai il Terzo mondo stava diventando un blocco compatto di Stati decisi a lottare contro l'ingerenza straniera. Il 1955 sancisce la rinascita del Terzo mondo come blocco di Paesi decisi a sfidare i rivali del Primo e Secondo mondo. A Bandung, una cittadina dell'Indonesia, si tenne fra il 18 e il 24 aprile un convegno di delegati di nazioni afroamericane. Mandarono i loro rappresentanti l'India, Pakistan, Birmania, Ceylon, l'Indonesia, la Cina socialista e molti altri Paesi africani compresa la Jugoslavia di Tito. I protagonisti dell'incontro, Nasser, Hehru, Tito e Zhou Enlai misero in tavola gli argomenti principali da trattare: il rifiuto di ogni forma di colonialismo e di ingerenza e la dichiarazione di non allineamento con le posizioni politiche di URSS e Usa. Il Terzo mondo venne rivalutato in una chiave nuova e positiva, come una forza capace, se unita, di mettere in crisi gli altri due blocchi e poter finalmente riprendersi quello che da sempre era loro diritto: risorse e sovranità nazionale. La Cina di Enlai si pose nei confronti di questi Paesi come il loro protettore, come la nazione protettrice di quelle più debole pur richiamandosi a principi di neutralità (ancora oggi la Cina di Hu Jintao si pone come il continuatore di questa linea politica favorendo lo sviluppo economico di ampie zone dell'Africa). In questo modo la Cina sanciva definitivamente la fuoriuscita dal Comintern e l'originalità del socialismo cinese che Mao da anni difendeva. Tutti i membri del convegno accettarono le proposte di Nasser, Nehru e degli altri leader, sottoscrivendo la "Dichiarazione per la promozione della pace nel mondo e per la cooperazione", documento che sanciva l'alleanza attiva tra questi nascenti Stati nazionali.
Tali idee non potevano che avere un effetto domino. Molti Paesi africani e asiatici si avvicinarono a tale movimento e iniziarono a rivendicare una certa autonomia nei confronti degli ex dominatori. Nel 1961 Tito, Nehru e Nasser diedero di conseguenza vita all'organizzazione "Non Allineamento" a Belgrado. Ad aderire a tale movimento vi erano circa 25 Paesi compresa Cuba di Castro e l'Algeria, resasi da poco indipendente dalla Francia. La Cina ancora una volta si impose come l'esempio del Paese emancipato visto che poco tempo prima era riuscita a staccarsi dall'orbita sovietica e a imporsi come una delle nazioni in via di sviluppo sia economico che militare. Il movimento finì per contare fra i suoi membri 75 Paesi tutti convinti assertori di una politica contro l'imperialismo occidentale. Purtroppo i primi disequilibri non tardarono a mostrarsi. Guerre e contrasti tra i membri del Non Allineamento minarono i rapporti di solidarietà. I conflitti sono solo una parte delle cause che portò allo scioglimento dell'organizzazione. Ormai la maggioranza degli Stati africani si era emancipata e si conseguenza la spinta anticoloniale era scemata. Inoltre con la caduta del blocco sovietico i rapporti politici ed economici erano cambiati: molti Paesi non allineati finirono per entrare nell'orbita americana o ne approfittarono per rendersi del tutto autonomi da condizionamenti, come l'India. Altri Stati invece avevano mutato assetto politico, come la Iugoslavia. Molte nazioni sottosviluppate stavano emergendo economicamente mentre altre restavano in una situazione di povertà e miseria per cui equi rapporti politici ed economici erano effimeri e poco credibili. L'esperienza dei Non Allineati ha segnato la fine dell'imperialismo europeo e la prima dimostrazione dell'orgoglio nazionalista dei Paesi del Terzo mondo, la prima forma di rivincita degli sfruttati sugli sfruttatori: capovolgimento che all'epoca era vista come l'unica opportunità per annientare il rapace liberal - capitalismo.

Gli anni dell'edonismo

Erano i mitici anni ottanta, quelli che ancora ci fanno sognare. Un decennio di successo, di abbondanza e dei miti di Hollywood. Nei nostri anni di crisi questo decennio si carica di magia e di elementi mitici come se fosse un età dell'oro. Dietro l'abbondanza e la televisione si venivano a creare le prime contraddizioni del sistema che avrebbero portato alla crisi di inizio millennio. Le eccessive politiche liberali, il fanatismo finanziario e predatorio, queste e altre sono le premesse di un sistema che stava solo preparando la sua ennesima crisi. Ancora oggi è viva l'immagine di quei super manager, i Colletti bianchi, che negli anni ottanta e novanta erano il simbolo del successo e dell'uomo realizzato. Ciò che mi preme evidenziare non sono le cause della crisi attuale, ma gli effetti sulla società che le politiche neoliberiste hanno causato. Stiamo parlando di quel fenomeno che si è soliti definire come "Edonismo reaganiano" intendendo quell'etica del profitto e del successo che negli Usa, e poi nel resto del mondo, divenne la regola per chi voleva avere un ruolo sociale rilevante. Ronald Reagan, repubblicano convinto, accesso oppositore dei democratici e di tutte le frange della sinistra americana e mondiale, fu uno degli animatori del neoliberismo insieme al Premier inglese Margaret Thatcher. Il nemico numero uno del Premier americano era lo stesso Stato o meglio l'apparato burocratico, fatto di aziende e imprese pubbliche, creato durante il New Deal. Da liberista era convinto che i mercati e l'economia in generale erano in grado di regolarsi senza controlli statali o di altri enti sovranazionali. Di conseguenza anche la cosa pubblica doveva essere liberalizzata e favorire la competizione tra privati. La lotta contro lo Stato riguardava il taglio delle spese pubbliche, la limitazione dell'apparato statale nella gestione dell'economia e della vita pubblica e la riduzione delle tasse. La "deregulation" era la chiave di volta per una nuova struttura sociale ed economica che garantiva ricchezza e una vita oltre i limiti. Ancora oggi, fino a qualche anno fa, la destra americana portava avanti questa politica contro un fisco opprimente, a favore della borghesia. Gli effetti sulla società e sull'individuo non si ridussero all'incremento o al decremento della ricchezza personale, ma produssero un nuovo modo di vedere se stessi e la realtà. La nuova parola d'ordine era il successo e il profitto che ne consegue. Il tutto accompagnato da un individualismo e da un relativismo estremo. Un sistema morale che dava valore alla competizione e alla vittoria non poteva che esaltare l'individualità. La vita pubblica era una savana con molti predatori e pericoli costanti. Competere senza regole era l'unico modo per emergere. In economia non esiste morale, tutto è permesso, anche speculare. Ed è quello che è successo, causando danni a lungo andare. L'unica legge era salire sempre più in alto. Si era formata quindi una classe di manager, uomini d'affari e capitalisti che erano riusciti a vincere la sfida. Di conseguenza questi predatori, affaristi e manager costituivano una nuova aristocrazia economica e politica. Questi fino a pochi anni fa erano indicati come i modelli ideali e concreti di uomo nel pieno delle sue capacità. Come non citare il film "Wall Street" di Oliver Stone del 1987? La figura del manager astuto che percorre gli spazi intorno a Wall Street? Ogni sogno ha una fine traumatica, specie quando esso è bello e si scopre come in realtà la realtà sia tutta'altro che rosea. Fino a qualche anno fa l'etica neoliberista era ancora la morale che reggeva il capitalismo occidentale. Adesso la crisi è il sogno che che finisce. Tutti i mali accumulati nel corso del tempo si sono rivelati all'opinione pubblica: indebitamento statale con le grandi banche nazionali ed internazionali, la finanza predatoria e le tasche della popolazione svuotate costantemente per cercare di coprire i buchi nei bilanci statali. Adesso tocca ricominciare, ma sarà dura cancellare una mentalità ancora oggi radicata nel comportamento occidentale.

Il Grande Timoniere: appunti di maoismo

Era il 1968 quando Moravia venne contestato dai giovani "rivoluzionari" durante una sua conferenza all'università La Sapienza dopo il suo viaggio in Cina. Al grido di "Mao si, Moravia no" i sessantottini dimostrarono il forte interesse per il maoismo e per le garanzie di libertà che Mao aveva promesso non solo in Cina, ma anche nei Paesi sottosviluppati e in Occidente.
"Maoismo" è un'etichetta che sta a riassumere le istanze del lavoro teorico e pratico del rivoluzionario cinese Mao Tse Tung fondate su una revisione del marxismo per adattarlo alle condizioni sociali e politiche della Cina di quasi ottanta anni fa. Sostanzialmente oltre all'adozione del nazionalismo come spinta rivoluzionaria e come cemento sociale, Mao, analizzando la situazione sociale cinese, evidenziò come il proletariato, essendo molto esiguo, non avrebbe mai potuto essere l'agente della rivoluzione: al contrario la classe contadina, maggiormente numerosa, avrebbe assunto il ruolo rivoluzionario del proletariato urbano. Ecco perché tra i punti essenziali del suo programma vi erano collettivizzazioni delle terre a danno dei grandi latifondisti. Lavori per creare comunità contadine dove la gestione delle terre era collettivizzata e il frutto del lavoro era ridistribuito in maniera equa tra i lavoratori.
Mao elaborò un piano di lotta che tenesse conto del territorio cinese e degli agenti rivoluzionari, dando di conseguenza molta importanza alla guerriglia. La guerra si sarebbe svolta secondo tre fasi: la prima sarebbe consistita nella mobilitazione dei contadini e nella creazione di soviet rurali; la seconda avrebbe previsto la costituzioni di bande di guerriglieri e in seguito la formazione di un esercito; l'ultima fase avrebbe previsto, dopo le prime fasi di guerriglia, il passaggio ad un conflitto diretto. In un primo momento le pianificazioni belliche di Mao fallirono costringendo ad una lunga ritirata (La Grande Marcia, 1939) e in secondo momento, con il supporto del Comintern, Mao sconfisse i nazionalisti di Chaing Kai - Shek nel 1949. I cardini che oggi possono essere presi come punti fermi dell'operato maoista sono la "Grande Rivoluzione Culturale Proletaria", che avrebbe dovuto riformare intellettualmente e socialmente la Cina socialista, e il "Grande balzo in avanti", che avrebbe dovuto assicurare un rapido sviluppo economico. La vittoria del socialismo non garantiva la sua solidità ne il fatto che il capitalismo potesse riproporsi al suo interno. Alcuni atteggiamenti e schemi mentali tipici della borghesia potevano vegetare e al momento giusto rinascere e causare la corruzione del socialismo, come in URSS. In concomitanza con l'estromissione di Mao dalla gestione del potere, il Grande Timoniere (attributo dato a Zedong) lanciò accuse contro la già presente corruzione all'interno del partito comunista cinese. Ecco perché dal 1966 fino alla sua morte ci fu quella che in occidente venne esaltata come Grande Rivoluzione Culturale Proletaria. Elementi fondamentali della nuova cultura erano le avanguardie intellettuali e giovanili pronte a riformare la società per scovare le annientare i burocrati controrivoluzionari. I giovani mobilitati dovevano essere inquadrate nelle cosiddette "Guardie Rosse" e messe in campo per eliminare ogni istanza borghese dalla società socialista sia tra la popolazione sia all'interno del partito. Il tutto attraverso anche una grande opera di propaganda mossa a partire dal Libro Rosso, scritto dallo stesso Mao nel 1966, dove si elencavano i rudimenti di marxismo e di maoismo: elemento sempre presente nell'armamentario delle Guardie Rosse. La dura repressione degli elementi poco inclini alla politica maoista furono molti e le repressioni si susseguirono in un arco di tempo che va dal 1966 al 1969. Si calcola che nei campi di rieducazione (Laogai) finirono circa 7 milioni di persone.
Tra il 1958 e il 1960 venne lanciato "Il grande balzo in avanti", un piano economico che avrebbe dovuto sviluppare la Cina basando il tutto sulla collettivizzazione dell'agricoltura e dell'industria. Mao predispose la creazione di grandi comunità popolari rurali dove le terre erano in comune e il denaro abolito sostituito da "punti lavoro" che avrebbero costituito il metro di prodotto che un contadino avrebbe ricevuto a seconda del proprio lavoro. Legato alla creazione di comunità agricoli ci fu la creazione di un vasto apparato idrico per l'irrigazione dei campi fatto di un gran numero di laghi artificiali e canali. Queste comunità si diffusero in tutta la Cina rurale e ben presto si ampliarono con la costruzione di piccole industrie e di altri edifici per il bene collettivo (scuole, ospedali ecc.). Come per l'agricoltura anche l'industria venne collettivizzata. Vennero create piccole comunità dove si edificarono fornaci comuni dove venne predisposto la produzione di acciaio. Dopo una elevata crescita nel 1958 (l'industria metallurgica aumentò la propria produzione del 45%) negli anni successivi tali traguardi non si superano. La recessione economica seguita allo sviluppo fu, per alcuni, la causa principale della carestia che colpì la Cina tra il 1959 e il 1962 che uccise circa 43 milioni di cinesi.