domenica 27 maggio 2012

Roberto Farinacci: l'alterego del Duce

E' stata una delle figure più discusse nei ranghi del partito fascista. Lo definirono il "Ras di Cremona", avendo il controllo totale della città, oppure il fascista ribelle o non allineato con il regime, tanto da farsi affibbiare l'etichetta di "fascista rosso". Stiamo parlando di Roberto Farinacci, politico di fede fascista, ex socialista e soprattutto ex segretario del Partito nazionale fascista. Nacque nella mia terra, il Molise, più precisamente a Isernia il 16 ottobre 1892. Suo padre era un commissario di pubblica sicurezza sempre in movimento per cui il giovane Farinacci lo seguì nei suoi spostamenti fino a quando si stabilirono definitivamente a Cremona, la città dove rimase fino alla fine dei suoi giorni. Fin da giovanissimo si avvicinò alla politica prima nel partito socialista poi, dopo aver conosciuto Benito Mussolini e collaborato con il Popolo d'Italia, si iscrisse ai nascenti Fasci di Combattimento, reduce dalla prima guerra mondiale e animato da una grande fede umana e politica nel futuro Duce. Partecipò con dedizione alle prime azioni offensive del nascente squadrismo distinguendosi per coraggio e forza, sfrontatezza che riportava nei suoi spregiudicati articoli dove evidenziava dal suo punto di vista il degrado della nazione. Nel 1921 venne eletto alla Camera dei Deputati e un anno dopo fondò quella che divenne la sua rivista personale, Il Regime Fascista (fino al 1929 chiamata Nuova Cremona). La sua opera di propaganda in Emilia Romagna e in tutta la bassa valle padana si fece conoscere per l'intensità e per i metodi poco ortodossi nel convertire la folla alla dottrina fascista. Per le sue azioni e per il potere che si era conquistato nella sua città venne soprannominato "Ras", termine etiopico che sta per "re". In poco tempo Farinacci divenne uno dei capi incontrastati dello squadrismo riuscendo in azioni di offensiva ai danni di socialisti e comunisti riportando sempre grandi vittorie. Fu lui che definì più volte lo squadrismo un arma indispensabile del partito per instaurare un nuovo regime, per cui riconosceva nei suoi uomini una delle parti vitali del Pnf. In seguito al delitto Matteotti lo squadrismo venne normalizzato nella Milizia volontaria per la sicurezza nazionale e Farinacci si ritrovò da solo con la sua anima ribelle contro un mondo di gerarchi che si era accostato alla linea guida del Duce. I suoi rapporti con Mussolini che, fino a quel momento erano stati caldi e stretti, si fecero freddi e segnati da critiche aspre e sempre più frequenti. Farinacci rimproverava al Duce di essersi venduto a quelle forze liberali che lui si era proposto di combattere. Farinacci e Mussolini incarnavano le  due anime differenti del fascismo: il primo battagliero e legato al fascismo sansepolcrista, mentre il secondo ormai compromesso con i poteri forti. Tra il 1925 e il 1926 fu segretario del Pnf, ma la sua carica fu molto breve. Si dimise volontariamente da tale ruolo e la contentezza di Mussolini per questa azione fu manifesta e accolta con favore da altri gerarchi, Italo Balbo ad esempio, che già da tempo avevano dubbi sulla fedeltà al Duce e sulla sua onestà. Farinacci fece le veci dell'opposizione all'interno del Pnf tanto da contestare le principali operazioni diplomatiche di Mussolini come il Concordato con la Chiesa Cattolica nel 1929. La goccia che fece traboccare il vaso fu l'attaccò ad Arnaldo Mussolino, fratello di Benito, accusandolo di aver preso tangenti in varie occasioni. Il 1930 fu l'anno della sua estromissione da ogni ambiente politico.
Ormai fuori dalla politica, Farinacci aveva solo un modo per entrare di nuovo nel partito: dimostrare il proprio valore nelle guerre coloniali. Ed è proprio in Etiopia che, grazie al suo valore (che gli costò la mano destra), ebbe decorazioni e fu reintrodotto nelle gerarchia del regime. Siamo in pieni anni trenta e il regime fascista si stava avvicinando a Hitler e al nazismo. Farinacci giocò un ruolo molto importante nei rapporti diplomatici con i tedeschi, specie con Goebbels, con il quale strinse amicizia. Essendo legato fortemente alle gerarchie tedesche sostenne l'entrata in guerra dell'Italia fin dal 1939. Per punire tali atti di insubordinazione venne punito con il sequestro del giornale e con ripetuti controlli polizieschi. Quando l'Italia entrò in guerra a fianco della Germania Farinacci iniziò una campagna stampa contro i presunti traditori. La guerra stava prendendo una piega negativa e già si profilava la caduta del regime. Secondo alcuni Farinacci, al corrente dell'Ordine Grandi, cercò di informare il Duce tramite Hitler senza però riuscirci o, secondo altri, Mussolini non tenne conto delle sue parole. Dopo l'8 settembre Farinacci si rifugiò a Monaco dove di lì sarebbe dovuto partire per Salò dove avrebbe dovuto prendere la carica di reggente della RSI. Al suo posto, all'ultimo momento, venne posto Mussolini liberato qualche giorno prima. Estromesso ormai dalla nova istituzione, assistette alla fine dell'ultima resistenza fascista. Alla caduta della repubblica di Salò fuggì da Cremona per rifugiarsi in Valtellina. Durante il tragitto fu fermato da una pattuglia partigiana e portato nel comune di Vimercate (MB) dove venne fucilato il 28 aprile 1945 dopo un sommario processo.