martedì 22 maggio 2012

Michail Bakunin: un mondo senza Stato.


Michail Bakunin come molti suoi colleghi rivoluzionari non era di origine proletarie come si potrebbe immaginare. Nacque da una nobile famiglia russa il 30 maggio del 1814 a San Pietroburgo e ben presto abbandonò la sua famiglia e le sue origini. La sua vita da esule lo portò a viaggiare per l'Europa e per le Americhe e, nonostante fosse braccato dalle polizie di molti Paesi, non si arrese nel diffondere il suo pensiero e nel sollecitare azioni rivoluzionarie. Tutto ciò ha contribuito a costruire un modello di uomo politico e di coerenza umana che ha segnato la coscienza di molti giovani socialisti e anarchici.
Le parole e gli scritti del filosofo russo si riferivano alle masse proletarie e contadine che soffrivano per l'oppressione capitalista e a quelle avanguardie intellettuali declassate dalla cultura dominante, uscendo di fatto dagli schemi marxisti che prevedevano l'appoggio solo ed esclusivamente della classe operaia.
La sua idea di rivoluzione si fondava su un duplice piano: uno organizzativo e l'altro politico. A livello organizzativo l'organizzazione rivoluzionaria doveva costituirsi come una associazione clandestina in grado di infiltrarsi nel proletariato e farlo insorgere, mentre a livello politico lo scopo della rivoluzione era l'abolizione totale dello Stato e di ogni autorità.
Il conflitto con i marxisti fu inevitabile anche e soprattutto all'interno della Prima Internazionale. Bakunin riteneva che lo scopo del progetto comunista fosse quello di sostituire lo Stato attuale con uno nuovo, presumibilmente di stampo socialista, contribuendo sostanzialmente a cambiare padrone e potere. Inoltre i soggetti della lotta di classe che per i comunisti erano i soli operai, per gli anarchici e per Bakunin erano tutte quelle classi che costituivano la massa popolare e povere, anche i braccianti. Marx al contrario riteneva che la lotta dovesse portata avanti dal solo movimento operaio conquistando il potere, distruggendo lo Stato borghese instaurando uno Stato proletario durante la fase della dittatura del proletariato: fase indispensabile per il superamento della società senza classi.
Le accuse di “asistematicità” del suo pensiero da parte dei marxisti e di Marx, che gli valsero l'espulsione dalla Prima Internazionale nel 1872, non impedirono la fortuna del rivoluzionario russo. Tutto il suo lavoro intellettuale potrebbe essere sintetizzato così: la liberazione totale dell'uomo attraverso l'abolizione dello stato, il rifiuto di qualunque socialismo di stato, la valorizzazione di quelle forze sociali che il processo d'industrializzazione tendeva ad emarginare, non solo gli operai, ma anche braccianti e le classi ancora più povere.
L'opera principale di Bakunin è “Stato e anarchia” del 1873, massima espressione del suo pensiero. Le prime critiche nel testo sono rivolte a Mazzini il cui rivoluzionarismo aveva perso ormai valore e definisce senza fondamento la concezione teocratica dello Stato. In realtà, dice il rivoluzionario, una vera rivoluzione non deve portare alla separazione o al ridimensionamento del rapporto tra Stato e Chieda, ma li deve abolire entrambi.
Il dissenso con Marx non manca in questo libro. Bakunin ritiene che le prerogative proprie del marxismo sono la conquista dello Stato e la centralizzazione del potere per liberare il proletariato. A differenza dell'economista tedesco, il filosofo russo riteneva che lo Stato anche se socialista o comunista avrebbe rappresentato sempre una forma di oppressione poiché quel rapporto tra dominatori e dominati sussisteva ancora.
La liberazione dell'uomo può avvenire solo se viene abolito lo Stato e la sua fonte originale, la proprietà privata.
Lo Stato rappresenta l'opposto della natura umana che, pur essendo sociale, non prevede una struttura sociale. Di conseguenza Bakunin attaccava tutte le forme sociali e religiose esistenti. Marx rispose a tali critiche affermando l'infondatezza della rivoluzione bakuniana fondata non su un analisi delle leggi economiche, ma sul concetto di volontà: una forma di spontaneismo. La stessa concezione del capitalismo era diversa. Per Bakunin esso era il prodotto dello Stato moderno attraverso il quale quest'ultimo esercitava la sua forza repressiva. Di conseguenza l'apparato teorico era totalmente diverso.
Contrapposta alla dittatura del proletariato, Bakunin proponeva una federazione di comuni che avrebbe regolato la futura società umana. Il pensiero di Proudhon ha sicuramente influenzato questa visione con l'idea di un federalismo che avrebbe garantito progresso e armonia all'umanità.
Queste tesi ne richiamarono altre riguardanti le modalità della rivoluzione. Bakunin rifiutò una organizzazione politica dei lavoratori che avrebbe dovuto guidare la conquista del potere e mise l'accento sulla volontà, sulla spontaneità della massa popolare che è in grado da sola di azioni rivoluzionarie.
L'anarchismo bakuniniano si affermò nell'Associazione Internazionale dei Lavoratori, in particolare in Italia e in Spagna, e costituì la principale corrente di pensiero che per un certo periodo tolse la guida del movimento operaio ai marxisti. Le teorie del filosofo russo seppero cogliere le speranze del movimento operaio che anelava ad una nuova società libera e senza autorità. Una realtà, qualcuno l'ha definita, un utopia altri.

Amedeo Bordiga: "Il peggior prodotto del fascismo è l'antifascismo"


Dalle prime manifestazioni del fascismo (1919 – 1920) fino alla sua morte, nel 1970, Amedeo Bordiga con grande lucidità studiò la natura del fascismo e di quel vasto movimento di sinistra, pacifista e democratico, che viene definito “antifascismo”.
Il fascismo, espone l'economista italiano durante il IV Congresso della Terza Internazionale nel 1922, è il frutto non di un movimento politico e sociale alternativo: nasce da un atteggiamento degli industriali italiani che si riscontra già nel periodo 1914 – 1915, quando la borghesia industriale decise di scendere in guerra a fianco dell'Austria e della Germania. A fianco di questo gruppo vi si troverebbero quelle frange del sindacalismo rivoluzionario, del liberalismo e del marxismo che fornirono le basi popolari al nascente movimento fascista.
Ciò che è importante evidenziare, dice Bordiga, non sono le componenti politiche che gli donano una certa estetica politica, ma il sostegno borghese. La borghesia si ritrovava di fronte ad un "problema gigantesco. Essa non poteva risolverlo né dal punto di vista tecnico, né da quello militare mediante una lotta aperta contro il proletariato; doveva risolverlo dal punto di vista politico". Questo problema riguardava la paura per il Biennio Rosso e la possibilità di una rivoluzione. All'inizio la borghesia con Niti e Giolitti concesse dei contentini al proletariato, concedendo una serie di riforme sociali. Nel contempo preparava l'esercito per stroncare possibili rivolte e finanziava quegli ufficiali smobilitati che costituirono l'apparato militare fascista.
Tutto ciò in vista della rivoluzione, per evitarla. Quindi una forza prettamente controrivoluzionaria. Il fascismo in realtà non è una ideologia pura e schematica, ma riprende i proprio principi da una serie altre mentalità e posizioni politiche che rappresentano gli interessi dei ceti medi e della borghesia. Di conseguenza esso si adatta bene al parlamentarismo, a differenza del marxismo, e si pone come rappresentante non di una borghesia, ma di tutte. Propone quindi, come emerge dal Manifesto di San Sepolcro (1919), una forma di collaborazione tra le classi. Questo riformismo è legato poi ad una estetica rivoluzionaria che copia in parte le istanze della rivoluzione bolscevica: partito unico e centralizzato, gerarchia ecc.
Il fascismo però non è una conseguenza della scelta economica della borghesia, non è in definitiva sovrastruttura. E' in realtà la matrice di tutti i governi borghesi, cioè struttura, specie in questo periodo in cui il capitalismo ha raggiunto la sua forma matura, l'imperialismo. Di conseguenza la borghesia richiede un modo di governo totalitario e duro.
Per continuare a sopravvivere (siamo all'indomani del 1929) il capitale deve definirsi “fascista”.Questo però non rappresenta una sconfitta per il proletariato. Infatti il fascismo non è peggio della democrazia. In esso i rapporti di classe vengono chiariti e evidenziati per quelli che sono. In questo modo il proletariato avrà una maggiore coscienza di se.
All'indomani della caduta del fascismo Bordiga biasima i suoi compagni opportunisti che, invece di portare avanti la rivoluzione in un momento propizio come quello fascista, hanno preferito la reazione antifascista con la difesa della democrazia. "Il risultato peggiore, per le sorti della classe proletaria, è l'entrata nel tronfio affasciamento antifascista della parte proletaria che aveva finalmente imboccata la via originale ed autonoma, sicché tutti, ognuno a modo suo, si sono rimessi a rifare lo sviluppo del primo Risorgimento. Merito, questo, controrivoluzionario, che pesa un secolo, se quello di Mussolini ha pesato un ventennio. Ma il secondo ha pesato in senso controrivoluzionario perché così l'hanno interpretato i maneggioni della politica opportunista".
Il fascismo è stato una ideologia che si è affermata con la violenza. Ciò che Bordiga biasima è il fatto che gli antifascisti paragonino le varie forme di governo in base alla violenza. La democrazia non è migliore del fascismo perché non è repressiva. Tutte le forme di governo borghese sono violente, perché frutto del capitalismo che continuamente violenta l'umanità.
Nel 1924 al V Congresso della I.C. l'economista italiano mostra alcune delle novità del fascismo: un partito unico borghese centralizzato, l'organizzazione militare e sociale che è riuscita ad inquadrare anche il proletariato. Evidenzia anche una forma di contraddizione tra la centralità e l'ideologia ultraliberista dei fascisti, cioè tra il fascismo nella sua essenza e chi lo guida. Se le cose stanno così, dice Bordiga, non possono durare,"il fascismo è condannato al fallimento in forza dell'anarchia economica del capitalismo, malgrado il fatto che abbia preso saldamente in pugno le redini del governo".
In quell'anno il partito fascista è in crisi non riuscendo a sfruttare al meglio la vittoria elettorale per rilanciare l'economia e ristrutturale lo Stato. Il proletariato sfrutta l'assassinio Matteotti per risvegliare la propria coscienza di classe prima della repressione. Lo sguardo di Bordiga però pecca. Infatti il governo fascista riuscirà a razionalizzare il dispotismo economico con una politica liberale e monopolistica. Nel contempo si riesce a combattere la tendenza monopolistica e il libero mercato. Lo Stato divenne il primo capitalista acquisendo le aziende in crisi e risollevandole. Nonostante tali riforme il fascismo rimane un forte alleato del capitale e della borghesia.
Al di là di questo errore di valutazione, Bordiga sarà il primo in anticipo a dimostrare come il fascismo dilagherà fuori dall'Italia e il fatto che il pacifismo e la democrazia saranno le cause di tutto ciò. Tali dichiarazioni suscitarono aspre critiche. I socialdemocratici furono i primi a contrastare la posizione bordigana. Ed è proprio per costoro che il fascismo sia in Italia sia in Germani si affermò posizionandosi su un antifascismo sterile. Nel contempo gli stalinisti uccidevano la vecchia guardia bolscevica e in Spagna fucilarono anarchici e comunisti internazionalisti, decretando la fine del movimento rivoluzionario.
L'accentramento politico ed economico era una istanza della Destra Storica fino al 1876 quando la Sinistra Storico ebbe la maggioranza. Il Fascismo riprende dalla destra tale politica ma la rielabora in chiave riformista riprendendo alcune istanze del socialismo.
"Quando il primo esempio del tipo di governo totalitario borghese si ebbe in Italia col fascismo, la fondamentale falsa impostazione strategica di dare al proletariato la consegna della lotta per la libertà e le garanzie costituzionali nel seno di una coalizione antifascista manifestò il fuorviarsi totale del movimento comunista internazionale dalla giusta strategia rivoluzionaria. Il confondere Mussolini e Hitler, riformatori del regime capitalistico nel senso più moderno, con Kornilov o con le forze della restaurazione e della Santa Alleanza del 1815, fu il più grande e rovinoso errore di valutazione e segnò l'abbandono totale del metodo rivoluzionario".
L'antifascismo portò il proletariato a combattere in Spagna e nei paesi occupati dall'Asse a favore di una delle due fazioni in guerra. Il partigiano, mitizzato dal Pci, in realtà è un mercenario che non lotta per soldi, ma per un ideale falso. Di fatto a causa dell'antifascismo il movimento operaio degenerò.

Marcello Gallian: un anarchico al servizio del Duce


Figura di spicco della cultura del ventennio nonché ex anarchico, Marcello Gallian rappresenta l'anima più eversiva del fascismo.
Nato da una famiglia aristocratica romana che coltivava idee sovversive (suo nonno venne esiliato a Marsiglia dallo stato pontificio), visse tra l'Italia e la Libia dove il padre era console. Studiò in vari collegi come si voleva per rampolli della nobiltà e venne formato con lo studio dei classici latini, greci e italiana. Di animo ribelle il giovane Gallian si dedicò ben presto a letture più eversive quali quelle dei Poeti Maledetti e delle avanguardie storiche, prediligendo Majakovski, Esenin e Blok.
Nel 1917 a soli diciassette anni aderì alla spedizione di Fiume attirato dalla figura di D'Annunzio di cui ammirava il coraggio e il carisma. Questa esperienza lo introdusse definitivamente nell'ambiente culturale e politico, animato da una intensa lotta politica. Entrò in contatto con i primi ambienti anarchici e avanguardisti che si erano diffusi in tutta Italia e principalmente a Roma, dove conobbe anarchici e personalità carismatiche come quella di Enrico Malatesta. La sconfitta di Fiume però aumentò la sua carica sovversiva e la sua voglia di fuga dal mondo borghese in cui era nato.
Rifiutò quindi la sua origine borghese e preferì a questa una vita da ramingo e da ribelle.Vide nel fascismo la vera forza rivoluzionaria in grado di abbattere il mondo borghese e partecipò alla Marcia su Roma nel 1922.
Nello stesso tempo la sua attività intellettuale fu molto attiva. Collaborò con le principali riviste dell'epoca: da “Novecento” di Bontempelli al “Corriere della sera”. Scrisse famosi romanzi, spesso censurati per i toni troppo violenti ed eversivi, quali “Tempo di pace”, pubblicato nel 1934 con una prefazione di Giuseppe Ungaretti, conosciuto negli ambienti anarchici, e “Il soldato postumo”. In tutte le sue opere e in tutti i suoi racconti mostra il suo lato più turbolento con protagonisti che si allontanano dal loro ambiente borghese e lo combattono partecipando così alla agognata rivoluzione che non ci sarà mai. Gallian vide fallire i suoi ideali durante il trentennio quando ormai l'idea di una rivoluzione era stata cancellata dall'agenda del Duce. La sua delusione non lo abbatte, ma continuò a costruire la sua idea si rivoluzione. Per queste ragioni il regime lo osteggiò sempre fino a censurare gran parte della sua produzione.
Le tendenze borghesi del fascismo lo esasperavano, specie l'alleanza tra il regime e la monarchia, da lui fortemente combattuta. Visse gli ultimi anni del regime in un isolamento umano e intellettuale, rifiutando anche di aderire all'RSI.
Il dopoguerra lo penalizzò ancor di più. Nonostante fosse un anarchico, vicino alle posizioni della sinistra, tuttavia il suo passato di intensa propaganda a favore del fascismo gli impedirono di essere riabilitato. Destino che non toccò ad altri autori come ad esempio Alberto Moravia.
Gli ultimi anni della sua vita furono disperati, costretto da una situazione economica difficile a fare lavori umili e a scrivere freneticamente per case editrici e quotidiani e spesso per conto di altri sotto falso nome. Questo fino alla sua morte sopraggiunta nel 1968. La sua fama e la sua vita furono tenute all'oscuro per molti anni e lo sono tuttora ai più a causa della censura e della damnatio memoriae postbellica. Il suo ricordo sopravvisse nella memoria di pochissimi intellettuali con i quali era venuto in contatto, quali Ungaretti, Giulio e Bragaglia, tutti ex anarchici. Una vita disperata e una coerenza umana e politica fuori dal comune che hanno reso Marcello Gallian, l'anarco – fascista, uno degli uomini più affascinanti della nostra cultura.

Le Internazionali Comuniste


Con la I Rivoluzione Industriale la società aveva conosciuto una radicale trasformazione. Era uscita da un sistema antiquato come quello feudale ed era approdato ad un altro, quello capitalistico, fondato sul libero mercato e sull'accumulo di ricchezze. Un economia più attiva e producente. I retaggi del vecchio mondo ancora erano presenti e solo con la Rivoluzione Francese si vide il cambio definitivo. La borghesia era ormai la padrona incontrastata dell'economia e della politica e viveva con lo sfruttamento delle classi più povere: il proletariato. L'accumulo di capitale permetteva di investirne di più per averne ancor di più e per migliorare la produzione. Accadde che verso la metà del XIX secolo, grazie ai miglioramenti tecnologici, si ebbe una II Rivoluzione Industriale.
La nuova ondata industriale migliorò la produzione e le condizioni di vita anche se le già precarie condizioni del proletariato si aggravarono. I primi albori del socialismo emersero in questo fermento sociale. Le prime dottrine sociali furono soprattutto filosofie utopiche e filantropiche come il socialismo utopico di Robert Owen. Filosofie poco adatte a trasformazioni radicali ne a grandi cambiamenti: la loro pecca era la mancanza di un analisi scientifica della realtà dalla quale partire per il teorizzare il cambiamento. Solo con Karl Marx si ebbe un socialismo scientifico nel vero senso della parola. Il filosofo e l'economista tedesco teorizzò, attraverso l'analisi del capitalismo nel suo celebre “Capitale”, la sua crisi e il suo superamento tramite un azione rivoluzionaria che avrebbe portato ad un nuovo sistemo socio – economico.
Le Internazionali furono gli strumenti che permisero di diffondere il socialismo tra le masse e di unire il proletariato internazionale in vista della Rivoluzione.
 PRIMA INTERNAZIONALE  La prima Associazione Internazionale dei Lavoratori venne fondata il 4 ottobre 1864 a Londra per volere di alcune delegazioni francesi e inglesi di operai e di esuli politici (tra cui figurava Karl Marx) durante un convegno in favore dell'indipendenza della Polonia. Lo scopo di questa organizzazione era quello di organizzare i primi movimenti operai per migliorare le condizioni del proletariato internazionale e diffondere il socialismo su larga scala. L'idea di un simile progetto si venne a delineare in seguito ai moti falliti del 1848 – 49 che avevano mostrato come in tutti i paesi le esigenze rivoluzionarie fossero tutte simili, ma ci si accorse che il fallimento fu causato dalla mancanza di una coordinazione sovranazionale.
Nel corso dei sei congressi che si svolsero dal 1864 al 1876 si delinearono le linee guida del movimento dalle questioni sociali (giorno lavorativo di otto ore) fino alle strategie di lotta definite dallo stesso Marx nel I Congresso a Ginevra (1866) che sostanzialmente prevedevano l'emancipazione del proletariato e la sua conquista del potere.
Lo statuto organico prevedeva una organizzazione federale costituito da sezioni locali e regionali facenti capo poi ad un organo superiore.
La composizione ideologica dei membri della Prima Internazionale era costituita da anarchici, marxisti e anche mazziniani (in prevalenza italiani) con la partecipazione di personaggi del calibro di Michael Bakunin (II Congresso a Losanna nel 1867).
I dissensi non si federo attendere. I primi conflitti si ebbero tra marxisti e mazziniani: quest'ultimi rifiutavano la lotta di classe che per costoro poteva essere superata tramite la “solidarietà nazionale”. La loro espulsione fu imminente con una maggioranza molto ampia delle preferenze. Marx fu sempre in prima linea durante i dibattimenti difendendo le sue tesi e rafforzando la matrice classista dell'Internazionale, cosa che non piacque a Adolfo Wolf, ambasciatore di Mazzini e capo – delegazione presso l'A.I.L.
I problemi non finirono qui. Il dissidio tra anarchici e marxisti furono altrettanto duri e vertevano soprattutto intorno alla strategia di lotta: per i marxisti era indispensabile un partito centralizzato che formasse e guidasse il proletariato alla rivoluzione e una fase di “dittatura del proletariato” (fase intermedia) per giungere al socialismo, mentre gli anarchici al contrario difendevano la spontaneità del proletaria nella lotta rivoluzionaria. Il debole equilibro tra costoro si spacco e si determinò una massiccia fuori uscita di membri seguaci di Bakumin e del defunto Proudhon (V Congresso all'Aia nel 1872)
Questi conflitti interni non fecero altro che mettere in crisi l'Internazionale che già soffriva per alcune pesanti sconfitte. Nel 1870 era capitolata la Comune di Parigi e nel 1873 una crisi economica colpì il mondo industriale. Inoltre nel VI Congresso a Ginevra nel 1873 si decise di traferire la sede organica da Londra a New York su suggerimento di Marx. Questi eventi e queste decisioni mostrarono la crisi che serpeggiava nell'organizzazione e nel 1876 si giunse ad una drastica decisione: a Filadelfia i delegati restanti dell'Internazionale decretarono la sua fine. Di fatto l'A.I.L. era fallita, ma i semi del socialismo erano stati sparsi per l'Europa e i primi frutti iniziavano già a vedersi. In definitiva il compito che Marx aveva tracciato per l'Internazionale fu raggiunto.
L'espulsione dall'ormai defunta Internazionale fu per gli anarchici un ingiustizia molto grande per cui nel 1872 a S. Imier (Svizzera) venne costituita la “Federazione Internazionale degli Anarchici” che avrà vita molto sciogliendosi nel 1879 nel Congresso di Gand.
 SECONDA INTERNAZIONALE  La Seconda Internazionale nacque dalle ceneri della Prima nel 1889 a Parigi. I primi germogli del socialismo stavano maturando e si decise di coordinare i nascenti partiti per proporre e portare avanti lotte sociali sul piano economico e politico a livello internazionale.
A differenza della Prima Internazionale, la Seconda presentava una struttura non organica con sezioni indipendenti le quali si riunivano ogni tre anni in congresso. Dal 1890 inoltre venne istituita la festa del 1° maggio dedicata ai lavoratori e nel 1900 venne istituito un ufficio permanente a Bruxelles affidato al belga Huysmans. Nel VI Congresso ad Amsterdam del 1904 si definì il ruolo dei sindacati (nel 1901 venne fondata la Federazione Internazionale Sindacale ad Amsterdam) come strumenti per il miglioramento delle condizioni sociali del proletaria sganciati però da una ipotetica lotta rivoluzionaria. Inoltre la composizione ideologica del congresso era interamente marxista.
In essi figuravano in maggioranza i  laburisti inglesi e i socialdemocratici tedeschi tanto che il Partito Socialdemocratico Tedesco di Karl Kautsky ebbe la maggioranza e si impose come una delle forze portanti dell'organizzazione.
Pur accettando le tesi marxiste ben presto il congresso si spacco in due correnti: una riformista e l'altra revisionista.
I laburisti inglesi con Max Bernstein portarono avanti un profondo dibattito sulla validità delle tesi di Marx il quale aveva teorizzato la fine del capitalismo con una profonda crisi e con il sopravvento del proletariato sullo Stato. In realtà il progetto era fallito e si era usciti in parte dalla crisi. Secondo Bernstein quindi l'errore di Marx era quello di essere rimasto ancora troppo legato alla filosofia di Hegel che, essendo un pensiero astratto, non è in grado di cogliere l'essenza del reale.
I socialdemocratici guidati da Karl Kautsky prima sostennero le tesi marxiste poi, per l'influenza dei laburisti, proposero un via riformista per raggiungere il socialismo
Al di là di queste questioni nel VII Congresso di Stoccarda nel 1907 l'Internazionale scelse una politica antimilitarista che non ricevette tutti i consensi.
Quest'ultima fu la principale causa dello scioglimento dell'Internazionale. Da un lato vi erano coloro che vedevano nella guerra l'accelerazione della crisi del capitalismo, linea sostenuta dai socialdemocratici tedeschi, e dall'altro una corrente antimilitarista guidata dai comunisti di Rosa Lexemburg. Nonostante i vari tentativi di Kautsky, Bernstein e M. Adler di mantenere integro il movimento, il 4 agosto 1914 la maggioranza dei delegati votò a favore della Grande Guerra, decretando di fatto la fine della Seconda Internazionale. Dalla scioglimento della II Internazionale emersero una serie di organizzazioni sovranazionali. Nel 1923 ad Amburgo venne nacque il “Comitato per la conferenza socialista internazionale” (Cernisco) che nel 1951 a Francoforte sul Meno si evolverò nell'Internazionale Socialista, tuttora esistente, che racchiude le forze riformiste di sinistra.
TERZA INTERNAZIONALE o COMINTER – All'indomani della Rivoluzione d'Ottobre nel 1917 venne creata per volere di Lenin e dei bolscevichi la Terza Internazionale o Comintern (dal tedesco “Kommunistische Internationale”) con lo scopo di coordinare in una federazione i partiti comunisti per salvaguardare il neonato governo sovietico e preparare l'avvento della Rivoluzione.
Nasce nel 1919 a Mosca per risollevare il movimento operaio dopo il fallimento della Seconda Internazionale in seguito all'adesione alla Grande Guerra. La nuova Internazionale era costituita da una federazione di partiti comunisti rivoluzionari che per entrarvi dovevano sottostare alle decisioni del comitato centrale affidato a Zinov'ev.
Nel II Congresso a Pietrogrado e a Mosca del 1920 venne dibattute le linee guida del movimento nonché i 21 requisiti per entrare nell'organizzazione. Lenin prescrisse che i partiti rivoluzionari dovevano assumere la struttura del Pcus, appoggiare l'Urss e il Cominter e lottare contro la socialdemocrazia e favorire azioni rivoluzionari. Celebre in questo congresso è la diatriba tra Bordiga e Lenin. Il delegato italiano, a differenza di Gramsci, sosteneva una linea astensionista e antiparlamentare. Il rivoluzionario russo invece spinse per una partecipazione attiva ad un parlamentarismo di stampo rivoluzionario per scioglierlo ed abbatterlo dall'interno. Prevalse alla fine di una lunga disputa la politica parlamentarista di Gramsci con l'approvazione di Lenin.
Fin dall'inizio il Pcus ebbe un ruolo egemonizzante dovuto anche al fatto che gli organi principali avevano sede a Mosca.
Nel 1926 con la salita al potere di Stalin iniziò un processo di “stalinizzazione” del movimento con il quale il Pcus portava avanti la politica del “socialismo in un solo Paese” (1923) pur continuando a sostenere la rivoluzione in altre Nazioni. Queste posizioni cozzarono con il marxismo ortodosso e con le posizioni di Trozkj con il quale Stalin entrò inevitabilmente in contrasto. Nel 1935, al VII Congresso a Mosca, venne deciso l'abbandono del socialfascismo per creare un fronte unico, composto tra socialisti e comunisti, per fronteggiare l'avanzata del pericolo fascista.
Verso gli anni trenta e la Seconda Guerra Mondiale il Pcus egemonizzò del tutto il Comintern, ma i continui contrasti all'interno del partito portarono all'indebolimento del movimento e il 10 giugno 1943 si decise di sciogliere l'associazione anche in virtù di una politica moderata con l'occidente in funzione antifascista.
Nel 1947 tuttavia nacque l'esigenza di rispondere al “Piano Marshall” e alla “Dottrina Truman” che minacciava l'autorità sovietica nell'Europa dell'Est. Così nacque a Szklarska Poreba il “Cominform” (Communist Information Bureau) con lo scopo di coordinare i vari partiti europei contro l'avanzata americana.
Tra i primi provvedimenti che il Cominform (Stalin) prese fu quello di eliminare le forze riformiste dell'Est Europa assorbendole nei partiti comunisti per la costituzione di “Fronti Nazionali” sotto l'influenza diretta dei sovietici. In questo modo si riuscì a creare un sistema di Stati cuscinetto a difesa dell'URSS. Le critiche non mancarono ne gli attacchi contro singoli partiti. In Italia il Pci venne fortemente penalizzato poiché, pur essendo uno dei più grandi partiti comunisti al mondo, non era riuscito ad ottenere il potere prima e dopo la guerra civile.
La sede organica del Cominform fu dapprima Belgrado poi, dopo i dissidi con Tito, Stalin optò per Bucarest (1948). Dopo la morte del dittatore, nel 1956 durante il XX Congresso del Pcus si decise di avviare una politica di distensione con l'occidente sciogliendo l'organizzazione.
QUARTA INTERNAZIONALE – Nel 1927 Trozkij venne espulso dal Pcus e dalla Terza Internazionale a causa delle sue critiche alla politica staliniana. Nel 1938 rispose ai suoi detrattori raccogliendo intorno a se gli esuli della frazione di sinistra del partito comunista sovietico fondando un nuovo organo internazionale semi clandestino:la “Quarta Internazionale”.
Il ruolo nel gioco dei poteri internazionali era quello di portava avanti quelle che erano le tesi principali di Trotzkij. Opposto al concetto di “socialismo in un solo Paese, il rivoluzionario russo sosteneva una rivoluzione a livello mondiale poiché un socialismo limitato ad un solo Paese non avrebbe retto contro il capitalismo. Il concetto di “rivoluzione permanente” era il punto forte di Trotzkij: il proletariato in uno Stato con capitalismo non maturo come la Russia avrebbe dovuto prima portare avanti una rivoluzione demo – borghese al posto della borghesi; poi da lì giungere al socialismo. Ecco perché rivoluzione “permanente” o “ininterrotta”. Secondo quest'ottica l'Internazionale non avrebbe più propagandato l'idea di rivoluzioni a sostegno dell'URSS e del socialismo nazionale: la stessa Russia sarebbe stata il modello di una serie rivoluzione che avrebbero abbattuto il capitalismo.
L'Internazionale trozkijsta continuò in una serrata opera di contrasto della politica staliniana, ma il suo lavoro fu reso difficile dall'ostilità dei regimi fascisti e dalle purghe staliniane nonché dall'opposizione contro la costituzione di un fronte unico in Spagna con partiti e movimenti vicini all'URSS. Il lavoro di propaganda non fu vano. Il trozkijsmo si diffuse in molte zone del pianeta oltre in Europa, principalmente in Sud America. Dopo la Seconda Guerra Mondiale la Quarta Internazionale conobbe un fase di stallo per la mancanza di una dirigenza forte. Nel 1951 al III Congresso divenne segretario, Michel Raptus detto “Pablo”. Il nuovo segretario sostenne fin da subito una linea politica nuova, convinto che per battere lo stalinismo era necessario distruggere il capitalismo mondiale. L'unico modo possibile per giungere a tale obiettivo era una strategia di “entrismo”: sciogliere l'Internazionale che non aveva più un ruolo e infiltrassi nel partiti comunisti e spingerli ad adottare una politica rivoluzionaria. Questa decisione portò alla scissione della IV Internazionale in una miriade di partiti e movimenti internazionali. In Europa troviamo partiti come “Partito di Alternativa Comunista”, “Sinistra Critica” e “Partito Comunista dei Lavoratori” in Italia o “Partito socialista di Inghilterra e Galles” in Gran Bretagna; nelle Americhe, dove il trozkijsmo ha attecchito di più, troviamo formazioni quali “Socialismo Rivoluzionario” In Cile o “Alternativa Socialista Rivoluzionaria” in Bolivia inquadrati a loro volta in organizzazioni sovranazionali che ripropongono l'unificazione in una nuova Quarta Internazionale come “Tendenza marxista internazionale” o “Comitato per un'internazionale dei lavoratori”.

Pensiero Nazionale: le camicie nere di Togliatti.


La storia non ce ne parla, almeno quella sui libri scolastici, ma il loro ricordo è ancora vivo. Sto parlando di un movimento ideologicoche è nato e che ha agito in un epoca oscura, il secondo dopoguerra, segnata da faide e riconciliazioni, giocandoun ruolo importante nella pacificazione tra destra e sinistra all'indomani della caduta del fascismo. I Fascisti rossi, definiti da alcuni “le Camicie nere di Togliatti”, da altri “Comunisti Neri”. Fascisti, ma anche socialisti; reazionari, ma anche rivoluzionari. Una simbiosi politica che ha pochi precedenti.
Le origini del cosiddetto “fascismo rosso”, quello “antiborghese” e “anticapitalistico”, a cui costoro si rifacevano, sono rintracciabili nel ventennio fascista. Personalità del calibro di Berto Ricci e Marcello Gallian, ex anarchici, inaugurano una poderosa migrazione politica di molti socialisti da sinistra verso destra, verso il fascismo. L'avvicinamento a Mussolini non poteva che influenzare il loro pensiero pur rimanendo saldamente legati alle loro origini socialiste, rompendo con la cultura ufficiale che, come sappiamo, divulgava principi e valori opposti.
L'esperienza dell'Rsi aveva mostrato la messa in pratica di queste idee con il programma di socializzazione delle industrie sia con la nascita si un fronte antiplutocratico composta da comunisti e fascisti.
Queste idee e questi progetti verranno ripresi negli articoli di una delle riviste più note del secondo dopoguerra e fulcro del socialismo nazionale: Pensiero Nazionale. Nel 1947 fecce la sua apparizione per la prima volta a Roma, la cui direzione fu affidata a Stanis Ruinas, pseudonimo di Giovanni De Rosas (1899 – 1984).
Reduce di Salò, rimase sempre fedele ai suoi ideali che si rifacevano alle idee repubblicane, socialiste e mazziniane nonostante la persecuzione e il carcere. Per un decennio fu il punto di riferimento di ex repubblichini e dei fascisti rossi, smarriti e poco soddisfatti della politica del neonato Msi. Nel pieno della Guerra Fredda Ruinas e i suoi “camerati” si schierarono in maniera aperta con il Pci, pur rimanendo autonomi dalla linea politica dei comunisti, convinti sostenitori della nascita di un fronte socialista unico autonomo dall'URSS e dagli USA.
In questo grande gioco di potere Ruinas svolse un ruolo importante nella politica di riconciliazione di Togliatti, nel traghettare numerosi “ex erressini” da destra a sinistra e nell'essere un punto di dialogo tra Msi e Pci. In questo compito Ruinas fu incoraggiato da un giovane Enrico Berlinguer, presidente della Fgci, che, successivamente, taglierà tutti i ponti con Stanis.
Il PN va ricordato anche per la sua intensa campagna politica contro l'Msi, contestando la sua collusione con i poteri economici e con gli ambienti vicini agli americani,portando di conseguenza avanti una politica anticomunista fuori dai progetti di Ruinas. E proprio nel partito di Almirante Ruinas puntò la sua attenzione per la raccolta di proseliti, specie tra le giovani generazioni.
I rapporti con i comunisti non furono sempre buoni. Scossoni e riconciliazioni si alternarono fino alla rottura definitiva che ci fu dopo la morte di Togliatti. La linea politica del Pci ormai era cambiata e PN non aveva più un ruolo. Ruinas rimase alla guida del giornale fino al 1977, ma con una carica “eversiva” ridotta sia per i tempi sia per la perdita di numerosi collaboratori passati nelle file del Pci, assolvendo di fatto al suo ruolo principale.

Georges Sorel: la violenza come forza rigeneratrice dell'umanità


Le “Riflessioni sulla violenza” (1906) di Georges Sorel rappresentano il punto culmine della riflessione sociale e politica che agli inizi del novecento portarono alla nascita del “sindacalismo rivoluzionario”: tale fazione dell'anarchismo vide tra le sue fila personaggi di spicco della politica del tempo, come un giovane Benito Mussolini. Nel pensiero soreliano si fondono elementi dello spiritualismo di Bergson e con i temi propri del marxismo.
Come gli spiritualisti ottocenteschi anche Sorel vedeva nella coscienza e soprattutto nell'azione, che nasce dalla prima, un esempio della vitalità e della libertà umana. La volontà che spinge all'azione può essere determinata solo se nella coscienza del proletariato in particolare ci siano delle immagini che la possono suscitare: i miti. Lo stesso Sorel mette in guardia il lettore dall'accomunare mito e utopia: quest'ultima nasce da un azione intellettuale, un prodotto razionale, mentre il mito è la volontà che si incarna in immagini che portano all'azione, quindi un prodotto vitalistico e irrazionale.
Quindi nel caso del mito non è importante che questi si realizzi: l'importante è che spinga all'azione. A differenza del passato, oggi il mito ha una valenza sociale che ha come soggetto del discorso il capitalismo e come oggetto lo sciopero generale: "lo sciopero generale è proprio ciò che ho detto: il mito nel quale si racchiude tutto intero il socialismo"
La lotta di classe in questo modo viene portata avanti per la completa distruzione del capitalismo. Lo sciopero generale in questo quadro è l'azione di avanguardia, è un “tirocinio rivoluzionario”, che da coscienza di classe al proletariato e che spiana la strada alla rivoluzione. Costoro poi si organizzeranno in libere associazioni, i sindacati, e sostenere la lotta. Questo è il pensiero di Sorel, il “Sindacalismo rivoluzionario”, contrapposto alle politiche riformiste dei partiti socialisti e contro le prerogative della borghesia nazionale e internazionale. La violenza ha una funzione molto importante e trova una certa giustificazione.
Questa per Sorel non deve essere usata per fini utilitaristici come ad esempio le guerre del capitalismo per imporre se stesso: la violenza è uno slancio vitale che sprigiona tutte le forze spirituali e materiali dell'uomo che porta progressivamente alla nascita di una nuova umanità.
La stessa storia dell'umanità è fatta di rotture violente (Cristianesimo, Riforma, Rivoluzione Francese ecc.) che hanno portato alla nascita di nuove realtà. Dal punto di vista etico quindi la violenza, oltre ad essere un efficacie mezzo di attacco, è anche una porta che permette alle forze creatrici e liberatorie di manifestarsi.
Il pensiero di Sorel è stato giudicato una forma di volontarismo e di spontaneismo che si oppone al clima positivista che aleggiava in quegli anni. Tali teorie furono riprese da una parte del mondo marxista e anche dal fascismo. Questa ambiguità è dovuta anche al fatto che lo stesso Sorel dopo aver difeso con forza l'anarco – sindacalismo si accostò al movimento di destra francese, “Action Francaise”. In definitiva la rivoluzione per Sorel è una forma mitizzata di cambiamento della società, un azione armata e violenta. Senza basi scientifiche e andando verso forme di irrazionalismo sempre più forti tale idea rivoluzionaria perse la sua consistenza reale divenendo un vero e proprio mito. Ecco forse spiegato perché Sorel ispirò il fascismo e molti altri movimenti reazionari. 

Socialismo e nazionalismo: quando nasce e cos'è il nazionalsocialismo italiano


Di solito consideriamo il socialismo in chiave marxista: internazionalismo, lotta di classe, al capitalismo, allo stato borghese e giustizia sociale. Questa visione delle cose è molto limitativa poiché non mostra un quadro esatto del calderone socialista. Al di là delle proprie posizioni politiche dobbiamo osservare che accanto al socialismo marxista ne troviamo un altro di stampo nazionale e antimarxista: il socialismo nazionalista.
Nato in un epoca turbolenta quale il periodo della Prima Guerra Mondiale, legato a fenomeno quali l'interventismo e i malumori per la “vittoria mutilata”, ebbe grande risonanza tra i principali intellettuali italiani (Gabriele D'Annunzio, F.T. Marinetti, ecc.) e venne visto come la principale soluzione al periodi di crisi e di decadenza sociale.
Scopo di questa branca socialista è la fusione delle istanze nazionali, quali quelle di Enrico Corradini, con quelle socialiste, riprese dal sindacalismo rivoluzionario di Georg Sorel e di Carlo Pisacane. Come tale esso si propone quindi come il superamento del capitalismo e del comunismo, quindi “Terza Via”. Una rivoluzione nazionale che avrebbe portato ad una riforma generale del Sistema - Italia. La massima espressione di questa corrente socialista è il Manifesto di San Sepolcro , Milano, del 23 marzo 1919che raccolse le voci, fino allora sparse, del socialismo nazionale, raggruppate poi in un movimento, i Fasci di Combattimento per volere di un giovane Benito Mussolini. Il Fascismo rappresenta l'evoluzione ulteriore del socialismo nazionale dal quale riprendere una serie di istanze. Secondo la definizione di Renzo De Felice il socialismo nazionale costituisce il cosiddetto “fascismo – movimento” che, nonostante i valori del “fascismo – regime”, rimarrà vivo e forte fino al secondo dopoguerra.
Nel programma di San Sepolcro si posso evidenziare le principali richieste della sinistra nazionale: anticlericalismo, lotta alla borghesia, giustizia di classe e unità nazionale. Poche differenze dal socialismo marxismo, ma nei fatti si differenzia moltissimo.
A differenza del comunismo, i socialisti nazionali portano avanti l'idea di un socialismo nella Nazione, ossia un sistema sociale che non neghi lo Stato, ma si realizzi come Stato sociale. Per tali motivi rifiutano di portare avanti la lotta di classe preferendo un sistema interclassista, un sistema corporativo. Il rapporto tra Stato, Individuo ed Economia viene di conseguenza ridimensionato. L'individuo è visto come un entità organica, per cui lo Stato deve garantire la solidità sociale e intervenire per salvaguardare l'armonia fra le classi: tutto questo in virtù dell'unità nazionale. Il lavoratore viene inserito in una serie di sindacati di categoria che si occupano di proteggere l'operaio e l'attività produttiva. A loro volta i sindacati sono introdotti in un sistema di corporazioni e confederazioni dove ogni parte sociale (datori di lavoro e lavoratori) hanno propri rappresentanti. In questo modo il lavoratore e il datore di lavoro riescono a tutelare i propri interesse, eliminando possibili conflitti. L'uomo viene inoltre liberato dalle catene del lavoro dipendente: adesso lui diviene il responsabile di se stesso e del suo lavoro.
Ulteriore sviluppo del socialismo nazionale fu il Manifesto di Verona del 1943all'indomani della nascita della Repubblica Sociale di Salò, firmato e scritto da ex uomini di sinistra, come l'ex comunista Nicola Bombacci.
Si ribadivano gli antichi ideali del programma di S. Sepolcro, traditi dal Fascismo – regime, ma si propongono programmi e riforme con toni socialisti molto più forti. Parlo del programma di“socializzazione delle imprese e dei mezzi produzione”, proposto e applicato da Bombacci per volere di Mussolini. Una riforma del lavoro radicale poiché i rapporti tra capitale e salariato si ridimensionano, anzi si cancellano. Il mezzo di produzione viene affidato in ugual misura all'operaio, il quale diviene padrone del suo lavoro, i cui profitti sono divisi fra i lavoratori stessi. Ciò avviene senza una rivoluzione o azioni di forza, ma tramite un azione legislativa dello Stato che elimina di fatto il lavoro salariato. Inoltre lo Stato garantisce libertà di iniziativa, proprietà privata e salvaguardia il consiglio di amministrazione delle industrie eletto direttamente dagli operai.
L'esperienza di Salò rappresentò un momento importante per il socialismo nazionale o come venne chiamato “fascismo rosso” e per tutti quei movimenti quali l'RNRS (Raggruppamento Nazionale Repubblicani Socialista) che portarono avanti tali ideali. Nel secondo dopoguerra questo pensiero politico venne inquadrato nell'ambito di alcuni movimenti neofascisti, quali Lotta di Popolo, Pensiero Nazionale di Stanis Ruinas, vicino alle posizioni comuniste, o Terza Posizione, fondato da Roberto Fiore, Gabriele Adinolfi e Peppe Dimitri, che si rifaceva direttamente al concetto di “Terza Via”.
Al giorno d'oggi l'idea di un socialismo nazionale è ripresa da movimenti e partiti vari, quali “Fronte Nazionale Sociale”, che alla fine degli anni 90 confluì ne “La Destra” di Storace, e “Uniti per il socialismo nazionale”.