sabato 2 giugno 2012

Deng Xiaoping: tra capitalismo e socialismo

Con la morte di Mao nel 1976 si apriva per la Cina una nuova epoca. I disastri politici, economici e umani del maoismo avevano lasciato un impronta incancellabile nelle coscienze. Il quarantesimo anniversario dell'inizio della Rivoluzione Culturale nel 2006 i cinesi lo hanno vissuto in silenzio. Nessuno studio e o critica di quel periodo. La nomenklatura comunista ha evitato qualunque riferimento ad un periodo che ha causato milioni di morti e che rimetterlo in discussione significherebbe metter al nudo verità troppo scomode. Questo è uno degli esempi di come la Cina ha voltato (in parte) al passato. Deng Xiaoping è stato il presidente cinese, successore del Grande Timoniere, che per primo ha rimesso in discussione il passato (è stato vittima delle Guardie Rosse e suo figlio è diventato paraplegico a causa delle vessazioni subite durante un linciaggio pubblico) rivalutando il ruolo storico e politico del grande Stato asiatico. Conscio dei problemi sociali e politici che affliggevano la sua terra, Deng ha optato per una tipo di economia che si definisce "economia socialista di mercato", cioè un liberismo mercantile associato ad una forte presenza dello Stato nella vita economica che probabilmente ha giocato a favore della crescita economica. Uno dei problemi che gli profilarono all'orizzonte era quello relativo alla convivenza di un sistema rigido come quello socialista ed uno dinamico come quello capitalista. La politica riformista del leader cinese fu volta sempre a mediare tra queste due anime, deciso a non rinunciare al partito unico.
L'operato riformista di Deng si concentrò su quei quattro pilastri che avrebbero retto l'economia cinese: agricoltura, industria, tecnologia e difesa. Per ognuna di esse apportò una serie di riforme volte a eliminare le grandi strutture collettivizzate e a garantire il rispetto della proprietà privata, gettandosi le basi del futuro sviluppo capitalista. Si procedette alla ratifica di una serie di provvedimenti atti a sviluppare il commercio interno e a entrare nel libero mercato secondo i modelli occidentali. Una delle scelte più azzeccate di Deng furono le Zone Economiche Speciali, cioè grandi aree dove vi era una forte riduzione del peso fiscale, localizzate lungo la costa meridionale e rappresentando i parafulmini per gli investimenti esteri che furono il motore dello sviluppo cinese. Gli effetti di questa politica furono evidenti con un forte tasso di crescita demografica ed economica. Purtroppo la sovrapproduzione industriale e agricola all'inizio degli anni ottanta creò problemi a causa della manodopera in eccesso determinata anche dall'introduzione delle prime tecnologie in campo agricolo (il settore dove si contano ancora oggi milioni di lavoratori), lasciando sul lastrico migliaia di contadini. Il rapido e rapace sviluppo aveva causato una repentina inflazione della moneta.  Quindi in sostanza si stava verificando un rallentamento della crescita e la messa in crisi del socialismo mercantile creato dal Premier cinese. Il partito e in primis Xiaoping furono costretti a fronteggiare il malcontento popolare e ad attuare misure restrittive (eliminazione dei sussidi e dei bonus introdotti da Deng, ad esempio) per contenere la perdita e l'inflazione della moneta. Le proteste andarono poi a sommarsi al quel clima di opposizione al regime che sembrava essere rimasto in auge fin dalla Campagna dei Cento Fiori. Il movimento operaio si saldò con quello studentesco ricevendo in cambio delle loro lamentele solo repressione armata. Tianamen, 1989, è un ricordo celato, ma ancora vivo.